Stai a vedere che alla fine i profughi africani (ma poi di chi stiamo parlando concretamente?) dovranno ringraziare la Rai per aver scomodato i nostri VIP così banalmente amati -come ha detto il capo struttura Rai Antonio Azzalini nella trasmissione di Radio 24 a cui pure io ho partecipato– ed attirato l’attenzione dei media sulla questione.
Da oggi anche il gruppo Espresso se ne occupa, prima dopo aver “scomodato” su Repubblica la presidente della Camera Laura Boldrini per prendere posizione, poi sul sito dell’Espresso con un frettoloso articolo dal discutibile titolo (Sfiga Africa, ci mancava Al Bano). Sia sull’Espresso che su Repubblica ci si dimentica di citare chi ha sollevato il caso due settimane fa e dove è stato fatto, ma tanta gloria ci farebbe pure male.
Mentre Raffaele Masto, uno dei pochi che conosce bene l’Africa e l’incapacità dell’informazione italiana di parlarne correttamente, esprime una posizione piuttosto chiara : “The Mission” mi sembra una trovata mediocre per parlare di un tema che merita tanto interesse, un tema assolutamente di grande attualità. Tema sul quale sarebbe più giusto fare informazione. Informazione vera, intendo. Ma se proprio in questo paese non si può mi rassegno, che se ne parli almeno così”.
Il dibattito si sta dividendo in tre poli: quelli che difendono il programma a spada tratta e vedono con fastidio chi, come l’autore di queste righe, lo ha criticato peraltro in maniera costruttiva; quelli che lo vedono come il fumo negli occhi e lo ritengono pornografia umanitaria; quelli che lo considerano comunque un’opportunità pur essendo molto sensibili ai temi etici.
Ognuno ha le sue ragioni, ma quella più biforcuta l’hanno i vertici Rai che invitano a non criticare perché del programma non si sa ancora nulla o molto poco. Vorrà dire che ci toccherà aspettare di vederlo. Quindi cari amici delle Ong, voi che lavorate nel settore da operatori o da volontari e credete nel vostro lavoro, voi che siete stupiti dal silenzio dei vertici delle vostre organizzazioni e dai capi degli uffici di raccolta fondi, rassegnatevi e tenetevi liberi per quelle date. Ci sarà molto da imparare.
Sul tema si è squarciato però il velo e il miglior modo per rendere questo momento un’opportunità è quello di affrontare di petto la questione non solo legandola alla trasmissione “Mission”. Uscire dai tatticismi e dalle ambiguità che le policy di raccolta fondi hanno assunto e riproporre un grande dibattito su cosa è lecito e cosa non lo è, su cosa è opportuno e rispettoso e su cosa invece deve essere abbandonato perché retaggio di un secolo andato, in cui il mondo era diviso in ricchi e poveri e i poveri stavano in alcune zone molto sfigate e ben individuabili. Ammesso che sia mai stato così.
Diciamolo per favore: c’è chi già 20 anni fa era più avanti di quello che si vede oggi. E’ in atto un involuzione e va compresa.
Capire, a fondo, che dietro al profilo assunto e alle immagini utilizzate, alle parole scelte, alle strategie adottate, ai soldi spesi c’è un macigno grande e grosso quasi inamovibile che riguarda la sopravvivenza stessa delle Ong italiane e non solo.
Comprendere che l’etica sta diventando una terra di confine sempre più sottile abitata da un numero crescente di tribù che girano dignitosamente a vuoto alla ricerca del cibo per sopravvivere, mentre si assottiglia il numero dei robusti commensali ai ricchi banchetti dove accorrono a spartire il lauto pasto con il Diavolo.
Realizzare che anche sul concetto di “etica” ci si dovrebbe probabilmente mettere nuovamente d’accordo e che non basta evitare le immagini dei bambini con la pancia gonfia e le mosche che ronzano intorno per essere corretti e virtuosi. C’è qualcosa di più.
Accettate un consiglio: lasciate in pace la Rai e “Mission”. Anche quel programma è e sarà solo lo specchio della nostra situazione. Lasciateli lavorare, sia mai che un giorno realizzino che il programma è infattibile anche perché la raccolta pubblicitaria langue e diano comodamente la colpa a voi, a noi, che l’abbiamo bersagliato da subito.
Nel frattempo riprendiamo in mano la questione seriamente e favoriamo un processo nuovo, come sostiene Massimo Coen Cagli nel suo blog “Benedetti soldi”, invece di riproporre un’immagine e una rappresentazione dei problemi funzionale solo a mantenere la sopravvivenza del settore il ruolo di “gestori della solidarietà”.
Proviamo ad uscire da questo barlume di attenzione che Mission ci ha regalato con una consapevolezza diversa e una crescita di tutto mondo della solidarietà internazionale. E’ “Mission Impossible?”.
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