Donne che fanno la differenza

Mireille Yoga, storia di un amore che non misura

Dirige il Centro Edimar, sostenuto da Fondazione Avsi, a Yaoundé, la capitale del Camerun. Qui ogni giorno più di cento bambini e adolescenti ricevono assistenza sanitaria e medica o frequentano il centro per giocare e imparare a scrivere. Il suo è un impegno che solo con riluttanza Yoga è disposta a chiamare lavoro: è qualcosa che va oltre, è la costruzione di un rapporto «dove l’altro rinasce»

di Francesco Crippa

Un amore senza misura e una generosa dose di pazienza. Insomma, quello che diremmo un amore materno. È questa la ricetta che Mireille Yoga, 50 primavere, segue ogni giorno da più di vent’anni per prendersi cura degli oltre cento bambini e adolescenti che quotidianamente si recano al Centro Edimar, sostenuto da Fondazione Avsi, a Yaoundé, la capitale del Camerun. Un impegno che solo con riluttanza Yoga è disposta a chiamare «lavoro»: è qualcosa che va oltre, è la costruzione di un rapporto «dove l’altro rinasce», spiega.

I ragazzini che tutti i giorni, dalle 10 alle 17, vanno al Centro Edimar sono, infatti, ragazzi di strada, la maggior parte dei quali vive senza famiglia. È stato proprio l’incontro tra il loro bisogno di figure genitoriali e il desiderio «che mi bruciava il cuore» di avere figli che l’ha fatta innamorare di questo impegno. 

Il Centro Edimar è stato avviato nel 2002 per opera di padre Maurizio Bezzi, missionario della congregazione del Pime e offre rifugio, assistenza medica e sanitaria ai bambini. Dal 2018, Yoga ne è la direttrice: un punto di arrivo di un percorso tutt’altro che scontato, Yoga, infatti, non si sarebbe mai immaginata di lavorare in ambito umanitario. «Avevo fatto l’università per far contento mio padre», racconta, «ma non sapevo bene cosa volessi fare nella vita. A quel tempo, per le donne in Camerun non esisteva la possibilità di desiderare qualcosa che non fosse essere la donna di casa».

Mireille Yoga, come è arrivata ad Avsi e all’impegno umanitario?

È successo 23 anni fa, grazie a una chiamata, nel vero senso della parola. Avevo studiato economia all’università e, sinceramente, non avevo mai immaginato di lavorare in questo settore. Un giorno, padre Maurizio Bezzi, che conoscevo perché stava nella mia parrocchia, mi ha chiamato per chiedermi di aiutarlo con la contabilità nella gestione di un centro per “ragazzi di strada”. Questa espressione mi ha fatto scattare qualcosa. È stato uno shock, un dolore, perché io ero sposata ma non riuscivo ad aver figli. Allora sono andata lì a vedere di cosa si trattasse, non per accettare il lavoro ma per capire come sia possibile per una madre abbandonare un figlio.

Io non riuscivo ad avere figli, sono andata non per il lavoro ma per capire come una madre possa abbandonare un figlio

Mireille Yoga, direttrice del Centro Edimar

Alla fine, però, il lavoro l’ha accettato.

Sì, sono rimasta lì perché avevo questo vuoto di non poter avere figli, che era un desiderio che mi bruciava il cuore. Vedendomi piangere, padre Maurizio mi ha detto: “Forse sei chiamata a una maternità spirituale”. Così, ho iniziato a lavorare qui e nel 2018, quando lui è dovuto rimanere in Italia per problemi di salute, sono diventata direttrice.

Quali sono i più grandi insegnamenti che ha raccolto in questi anni?

Sarebbero tantissimi, quindi ne scelgo solo due. Il primo è stato proprio all’inizio della mia carriera. Ero in strada e un ragazzino mi ha puntato un coltello al ventre, minacciandomi dicendo “una donna come te mi ha fatto nascere e mi ha abbandonato”. Questo incontro mi ha fatto capire che per questi ragazzi l’essere in strada comporta spesso un non sapere chi sono, da dove vengono.

E il secondo?

È stato sempre nei primi tempi, quando un bambino che avevo accolto a casa mia ha chiesto a mio marito di poter andare tra le sue braccia per capire cosa volesse dire essere abbracciato da un padre. Mi ha insegnato che ci sono persone che non conoscono il gusto di un abbraccio dei genitori.

Come si traducono queste “lezioni” nel suo lavoro di oggi?

Sono sempre alla base del mio impegno quotidiano. Sono rimasta proprio per questo, per essere come una madre per questi bambini. E nel tempo mio marito ha accettato di essere un padre per loro e così casa nostra è diventata una casa di accoglienza, dove poter scoprire la bellezza della famiglia. In questo momento abbiamo nove figli.

Sono rimasta per essere come una madre per questi bambini. Nel tempo mio marito ha accettato di essere un padre per loro e così casa nostra è diventata una casa di accoglienza

Come influisce l’essere una donna nel suo impegno?

È molto importante, perché tutti i ragazzi che incontro hanno un grave problema di mancanza affettiva e la madre in questo è come un punto di partenza. Quando ho iniziato a lavorare al Centro Edimar ero l’unica donna e moltissimi ragazzini venivano a cercare me proprio per quello, per ritrovare quella figura che a loro mancava. Questa dinamica permette anche a me di andare oltre il semplice lavoro: si costruisce un rapporto dove l’altro rinasce.

Lei è stata la prima donna a impegnarsi al Centro Edimar. Quante siete ora? E in che modo la sua esperienza è un esempio per le altre?

Ora siamo in tre a tempo pieno più altre tre volontarie. Io penso che la strada sia un luogo pericoloso per noi donne, per la violenza che vi dilaga. Ma l’amore è l’unica cosa capace di andare oltre e noi dobbiamo sfruttare questo senso di maternità che abbiamo dentro. Io cerco di aiutare le altre a farlo venire fuori. Noi donne non possiamo abbandonare chi viene al Centro. Per esempio, due giorni fa la responsabile della nostra scuola di strada ha avuto una grave invasione di pulci in casa, ma non per questo ha rinunciato alla sua attività. Questo per dire qual è il cuore che si mette per non abbandonare una seconda volta queste persone. 

La strada è un luogo pericoloso per noi donne, per la violenza che vi dilaga. Ma l’amore è l’unica cosa capace di andare oltre

Quale consiglio dà a chi vuole impegnarsi nel suo mondo?

Quello di avere molto, molto amore nel cuore. E di essere paziente, di saper aspettare la libertà e il passo dell’altro verso di te. Per vedere i frutti di un lavoro come il nostro bisogna far morire il proprio desiderio di avere qualcosa in cambio. Bisogna amare anche quando l’altro non ne è degno e non bisogna aspettarsi nulla. Quando si incomincia un percorso con un ragazzo, non bisogna pensare a un risultato, ma solo rimanere dentro al rapporto ed essere fedele. Poi, quando l’altro avrà visto che tu sei fedele, allora capirà che si sta creando una cosa che durerà nel tempo e avrà la forza di avvicinarsi.

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