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Miraglia, Arci: “Contro il business sulla pelle dei migranti, tutti i Cas diventino Sprar”
Il vicepresidente di Arci entra nel merito della questione dei costi per l'accoglienza - oggetto anche del servizio di copertina nel Vita di marzo in edicola - mentre dopo il vertice europeo di ieri "è una vergogna il mancato impegno dei governi dell’Ue nella protezione delle migliaia di persone in fuga dalla guerra"
Dal Belgio all’Austria, passando per l’ormai tristemente nota Ungheria, i governi europei chiedono di chiudere la rotta balcanica: il mar Adriatico tornerà ad essere la futura rotta o credono di poter chiudere il Mediterraneo? O pensano di convincere i profughi a morire sotto le bombe? Al baratto politico si aggiunge il baratto di esseri umani. Senza provare alcuna vergogna l’ipotesi che si fa strada è quella di scambiare un espulso con un profugo siriano. Una tesi che rilancia il protagonismo dell’estrema destra europea cancellando i principi su cui è nata l’Europa e consegnando a Orban e ‘ai suoi fratelli’ la guida delle politiche europee". E' dura la presa di posizione dell'Arci, all'indomani del discusso vertice di lunedì 7 marzo a Bruxelles con al centro il ruolo della Turchia nella gestione del flusso dei profughi. Un tema su cui l'associazione, in primis il suo attuale vicepresidente e già responsabile nazionale immigrazione, Filippo Miraglia, si batte da tempo. Nei giorni scorsi, Vita.it ha raggiunto Miraglia anche per approfondire un tema più che urgente riguardo alla seconda accoglienza dei richiedenti asilo, in particolare nelle strutture italiane. Tema al centro dell'inchiesta Non c'è muro che tenga a cui è dedicata la copertina del mensile di marzo di Vita in edicola.
La seconda accoglienza dei richiedenti asilo, ovvero l'inserimento nelle strutture in attesa dell'esito della domanda, presenta luci – numerosi progetti con un ottimo inserimento nel territorio – ma anche molte ombre, sia legate ai conflitti sociali sollevati in luoghi specifici di arrivo dei migranti, sia per il verificarsi di scandali legati alla gestione dei contributi pubblici. Come migliorare la situazione?
Siamo di fronte a un gatto che si morde la coda: se l'immagine che arriva all'opinione pubblica è negativa, allora è difficile pensare che cambi la percezione legata a diffidenze e paure verso i flussi migratori. Bisogna quindi puntare in modo assoluto sulla trasparenza, esigendola a ogni livello. In particolare, penso all'enorme differenza attuale tra la precisa rendicontazione che viene chiesta ai gestori di progetti Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), dove i soldi vengono assegnati in base alla spesa effettiva di ciascun centro, a fronte invece della ben più ampia libertà di azione, in negativo, di chi gestisce i Cas, Centri di accoglienza straordinaria, i quali devono solo far avere alle Prefetture relazioni generiche su quanto fanno e fatture delle spese, a fronte di ispezioni inadatte e casuali, che non riescono a intercettare se non dopo tempo chi si dedica al malaffare.
I dati ufficiali oggi parlano di 400 strutture Sprar e ben 3.050 Cas…
Sì, attualmente sono 20mila le persone inserite nel circuito Sprar, a fronte delle almeno 70mila nei Cas. E fa impressione pensare che, sempre secondo dati ufficiali – vedi il recente Rapporto sull'accoglienza, coordinato dal ministero dell'Interno – ai gestori di Sprar o Cas viene elargita la stessa cifra di 30-35 euro al giorno per richiedente asilo. La soluzione per uscire da questo cortocircuito è una: trasformare nel giro di breve tempo, un anno o due al massimo, tutti i Cas in Sprar, ovvero venga meno la gestione diretta prefettizia dei Centri di accoglienza straordinaria, riportando al centro i Comuni, che sono capofila dei progetti Sprar.
Più potere alle amministrazioni comunali, quindi?
Necessariamente, anche perché hanno la diretta visione delle dinamiche del territorio e si eviterebbero le situazioni delicate in cui la Prefettura deve agire da sola nell'inserire i richiedenti asilo – a volte parecchie decine nello stesso luogo, con conseguenti malumori di parti della cittadinanza. E' chiaro che, se la direzione è quella di aumentare il coinvolgimento dei Comuni, bisogna rendere meno onerosi possibile la presa in carico: in questo senso, è positiva la recente decisione di abbassarer dal 20% al 5% la quota che l'amministrazione comunale deve cofinanziare nel lancio di un progetto Sprar. Detto questo, però, l'ultimo bando, chiusosi poche settimane fa, ha avuto ancora pochi riscontri rispetto al potenziale di migliaia di Comuni. Come Arci, dato che abbiamo bussato a tante porte per avviare nuovi progetti Sprar in aggiunta a quelli esistenti e a fianco della gestione di Cas, abbiamo avuto in più occasioni risposte nette in negativo: "Fateli con la Prefettura (quindi come Cas, ndr), vi appoggiamo, ma non ci assumiamo la responsabilità di gestire direttamente noi i progetti". Peccato, perché laddove altri Comuni hanno già attivi Sprar, nella maggior parte dei casi hanno un riscontro positivo e tendono a continuare l'esperienza nel tempo.
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