Welfare
Mirafiori, un quartiere che è rinato dal basso
La mostra “Mirafiori dopo il Mito” racconta attraverso foto, video interviste e analisi degli spazi come il quartiere sia rinato, dopo il divorzio produttivo con la Fiat, dal basso, spontaneamente. Negli ultimi 20 anni sono nati una Fondazione di Comunità, progetti per i giovani, gli anziani, gli orti generali, un presidio slow food
“Mirafiori dopo il Mito” la mostra che racconta in modo corale il quartiere entra tra le vetrine dei negozi, nelle biblioteche e nella casa della Fondazione di Comunità e sbarca anche on line per raccontare i cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni a partire dal divorzio produttivo tra la Fabbrica e il quartiere attraverso foto, video interviste e analisi degli spazi in collaborazione con la Fondazione 1563 e la Compagnia di San Paolo.
Un cambiamento a livello lavorativo, demografico e sociale che ha reso gli abitanti più soli e isolati. Il movimento collettivo dei circoli, dei dibattiti, dei partiti e dei sindacati si è sempre più frammentato fino a diventare unità singolare. Uomini e donne che facevano parte di un flusso che si muoveva lungo un unico binario: casa-fabbrica, fabbrica-casa costituito da movimenti ripetuti, nello stesso luogo di lavoro, nello stesso quartiere e negli stessi problemi aveva portato a sortire risposte comuni a problemi collettivi, era la politica che a tratti si scopriva comunità.
Tutto appariva chiaro e distinguibile, lineare: destra/sinistra, lavoro/disoccupazione, integrato/escluso, giorno/notte era la modernità solida, adesso non c’è contrapposizione identitaria, ma una sommatoria che rende tutto indistinguibile (liquido). Mirafiori è diventata una periferia esistenziale, i cortili si sono svuotati, gli anziani sono rimasti soli e la vita ha perso la sua dimensione collettiva e comunitaria per ripiegarsi nell’autosufficienza dell’Io.
Per questo Mirafiori è un insieme che non costituisce un’unità: un concetto sui generis. Ai problemi hanno fatto seguito soluzioni rigorosamente individuali perché ogni problema è percepito solo come proprio: è solo tuo (anche se è uguale a mille altri). L’invecchiamento, i cortili vuoti e il covid come una tempesta perfetta hanno trasformato la solitudine in povertà.
Un declino che come ha spiegato Bruno Manghi «non è diventato degrado, la storia è andata avanti a dispetto della storia». Sono nati negli anni una Fondazione di Comunità, progetti per i giovani, gli anziani, gli orti generali, un presidio slow food, abbiamo, come racconta Davide Teta, «iniziato a muoverci come squali a muoverci velocemente, andare fluidi, non possiamo stare fermi, altrimenti come gli squali moriamo». È questo il cambiamento che si può osservare durante i tour guidati di un quartiere e che aspetta solo di essere abbracciato.
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