Welfare

Mirafiori, un quartiere che è rinato dal basso

La mostra “Mirafiori dopo il Mito” racconta attraverso foto, video interviste e analisi degli spazi come il quartiere sia rinato, dopo il divorzio produttivo con la Fiat, dal basso, spontaneamente. Negli ultimi 20 anni sono nati una Fondazione di Comunità, progetti per i giovani, gli anziani, gli orti generali, un presidio slow food

di Fabrizio Floris

Mirafiori dopo il Mito” la mostra che racconta in modo corale il quartiere entra tra le vetrine dei negozi, nelle biblioteche e nella casa della Fondazione di Comunità e sbarca anche on line per raccontare i cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni a partire dal divorzio produttivo tra la Fabbrica e il quartiere attraverso foto, video interviste e analisi degli spazi in collaborazione con la Fondazione 1563 e la Compagnia di San Paolo.

Un cambiamento a livello lavorativo, demografico e sociale che ha reso gli abitanti più soli e isolati. Il movimento collettivo dei circoli, dei dibattiti, dei partiti e dei sindacati si è sempre più frammentato fino a diventare unità singolare. Uomini e donne che facevano parte di un flusso che si muoveva lungo un unico binario: casa-fabbrica, fabbrica-casa costituito da movimenti ripetuti, nello stesso luogo di lavoro, nello stesso quartiere e negli stessi problemi aveva portato a sortire risposte comuni a problemi collettivi, era la politica che a tratti si scopriva comunità.

Tutto appariva chiaro e distinguibile, lineare: destra/sinistra, lavoro/disoccupazione, integrato/escluso, giorno/notte era la modernità solida, adesso non c’è contrapposizione identitaria, ma una sommatoria che rende tutto indistinguibile (liquido). Mirafiori è diventata una periferia esistenziale, i cortili si sono svuotati, gli anziani sono rimasti soli e la vita ha perso la sua dimensione collettiva e comunitaria per ripiegarsi nell’autosufficienza dell’Io.

Per questo Mirafiori è un insieme che non costituisce un’unità: un concetto sui generis. Ai problemi hanno fatto seguito soluzioni rigorosamente individuali perché ogni problema è percepito solo come proprio: è solo tuo (anche se è uguale a mille altri). L’invecchiamento, i cortili vuoti e il covid come una tempesta perfetta hanno trasformato la solitudine in povertà.

Un declino che come ha spiegato Bruno Manghi «non è diventato degrado, la storia è andata avanti a dispetto della storia». Sono nati negli anni una Fondazione di Comunità, progetti per i giovani, gli anziani, gli orti generali, un presidio slow food, abbiamo, come racconta Davide Teta, «iniziato a muoverci come squali a muoverci velocemente, andare fluidi, non possiamo stare fermi, altrimenti come gli squali moriamo». È questo il cambiamento che si può osservare durante i tour guidati di un quartiere e che aspetta solo di essere abbracciato.

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