Welfare

Mirafiori, dalla Fiat alla strada dell’innovazione di Torino

Il celebre quartiere torinese dimostra come la periferia possa rinascere se diventa come uno squalo: «per sopravvivere deve muoversi velocemente, andare fluido e mutare rotta se necessario, non può stare fermo, altrimenti come gli squali muore», sottolinea Davide Teta

di Fabrizio Floris

Le periferie sono tendenzialmente descritte come degrado, disagio, destino e come il deserto danno forma alle città: è l’assenza, servizi, infrastrutture, futuro, a dire ciò che sono. Il luogo è la conseguenza di un’eredità, infatti, in Italia l’istruzione, il reddito da lavoro e la ricchezza continuano a ereditarsi dai genitori ai figli.

L’impatto di diversi fattori – come la famiglia d’origine, la ricchezza, il luogo di nascita, le scuole e i quartieri frequentati – determinano il 90 per cento del reddito. Il canale principale con cui vengono trasmesse le condizioni di benessere è l’istruzione, ma la scuola pubblica non è in grado di colmare le disuguaglianze di partenza: gli studenti si auto selezionano nelle diverse tipologie di istruzione secondaria (o nell’abbandono scolastico) sulla base dei risultati precedentemente conseguiti e della professione e del titolo di studio dei propri genitori. E poi ci sono i dati Istat che spiegano che il principale modo per trovare lavoro in Italia avviene nel 60% dei casi attraverso le conoscenze.

Nonché le ricerche degli statunitensi Betty Hart e Todd Risley che dimostrano che un bambino di tre anni proveniente da una famiglia agiata ascolta in media 2153 parole all’ora e ne usa 1400, se è figlio di operai ne ascolta 1251 e ne usa 750, se proviene da una famiglia di disoccupati arriva a stento ad usare 500 parole. A quattro anni il gap è di 30 milioni di parole, i primi ne hanno ascoltate 45 milioni gli ultimi 13 milioni. Fattori che diventano determinanti per favorire la crescita e la percezione della propria competenza, fiducia e autostima.

Quindi la periferia è un destino? È un luogo che per noti circoli viziosi spinge solo verso il basso? Non precisamente, almeno per quanto riguarda Mirafiori. Entrando dentro il quartiere della Grande Fabbrica grazie alla mostra Mirafiori dopo il Mito (dall’11 al 25 ottobre al Polo del 900) si comprende che le categorie sono meno delineate almeno stando alla storia degli ultimi 20 anni attraverso i dati raccolti da un equipé di ricercatori del Politecnico, le fotografie dei ragazzi delle scuole medie, i video che danno parola agli abitanti, alla loro memoria e alla loro storia.

Una storia che si intreccia con la Fabbrica che è passata da 60 mila a 6 mila addetti, ma il quartiere non è solo Fiat/Fca ha in essere in strada del Drosso le aziende più innovative della città, si muove verso le attività green, ha un presidio di Slow Food, attrae studenti del Politecnico e fondi europei. “sta diventando come uno squalo, commenta Davide Teta, ma non è pericoloso: per sopravvivere deve muoversi velocemente, andare fluido e mutare rotta se necessario, non può stare fermo, altrimenti come gli squali muore”. La mostra racconta un declino che non è diventato degrado, una storia, che secondo Bruno Manghi, “continua a dispetto della storia”.

fotografie di Andrea Borgarello

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