Cultura

Mio padre, l’ex tamarro che mi insegna a vivere

Dopo l'aggressione al papà, Randa Ghazy scrive a «Vita»

di Redazione

La parola che lo descrive meglio è “stacanovista”. Ora che è costretto a stare immobile, insieme a lui ricordiamo gli anni passati. Arrivò in Italia nel 1973 coi pantaloni a zampa…Stacanovista è una parola che descrive molto efficacemente mio padre. Uno “vecchio stampo”. Di quelli che né la febbre a quaranta, né la stanchezza, né la partita di calcio, né qualsiasi altro motivo potrebbero mai fermare dall’andare a lavoro. Uno che la parola vacanza non sa che cosa sia, nel senso che ignora completamente il suo significato, una cosa che gli sfugge da sempre. Per cui l’immobilità a cui è costretto ora, oltre a risultargli particolarmente odiosa – non può lavorare, innaffiare le sue adorate piante, cucinare, guidare, fare la spesa, insomma le cose che di solito adora fare – va al di là delle sue capacità. Per cercare di distrarlo dalla sua immobilità, ho iniziato a fare un po’ di conversazione di quella che lui adora, sullo stile “nostalgico andante”. Com’erano belli gli anni 70. Mi apre il suo mondo, quello che lui idealizza e che rimpiange, zeppo di personaggi pittoreschi persi di vista col tempo, di atmosfere e di vibrazioni positive, di voglia di fare e di porte aperte.
Mio padre è arrivato in Italia nel 1973. Parlava un po’ di inglese e di francese, pochissimo italiano, giusto qualche parola imparata ad un corso, e si vestiva con dei pantaloni a zampa d’elefante, camicie e maglioncini stretti, con una bella capigliatura afro, un po’ stile Ricchi e Poveri. Insomma, il classico tamarro anni 70, il pioniere che ascoltava buona musica come James Brown, Elvis Presley, Frank Sinatra, e che adorava attori come Alain Delon e Charles Bronson. I cannoni di Navarone, Il vecchio e il mare, e poi più tardi, Fuga di mezzanotte furono tra i suoi film preferiti di quegli anni. Chiaramente adorava il mare, e non poteva essere altrimenti visto che era nato e cresciuto ad Alessandria d’Egitto, un tempo uno dei porti più importanti del Mediterraneo. Una volta giunto in Italia iniziò a cercare lavoro dovunque. Aveva pochi soldi in tasca ed era intraprendente come solo la vecchia generazione di immigrati lo è stata.
Ebbe subito la fortuna di ricevere una proposta. Lavapiatti in un hotel di Melegnano. Mio padre accettò immediatamente. Il suo primo salario fu di 140mila lire. Appena finiva di lavare i piatti, ansioso di imparare cose nuove e di crescere, si metteva ad aiutare chiunque, cercando di osservare e di ripetere le azioni degli chef. Un giorno l’aiutocuoco si licenziò e il suo posto rimase vacante. Uno degli chef, avendo notato che mio padre era sveglio, gli propose di sostituirlo. E così, in pochi mesi, ebbe la sua prima promozione. Poi divenne cuoco. Fu così che incominciò la sua avventura in questo Paese. Quello che oggi io chiamo il mio Paese, quello che oggi lui stesso chiama il suo Paese.
Mio padre riuscì ad acquisire sempre più esperienza, a sposarsi, acquistare una casa in Egitto, una in Italia, e poi crescere tre figli. Lavorando senza sosta. Quando ero piccola percepivo papà come una presenza nebulosa, un uomo buono, magro e con dei bellissimi occhi color nocciola, che compariva ad intermittenza. Un appassionato di mare, di pesce, di partite di calcio e di politica internazionale, un nostalgico dell’esperimento socialista e panarabista di Gamal Abd El Nasser, del non allineamento di Tito e Nehru, un uomo per cui le sfumature a volte non esistevano. O sei onesto o non lo sei. O sei un uomo o non lo sei. Tutta un’etica granitica, severa, a volte eccessiva, ma nello stesso tempo un modo gentile, estremamente umano, di affrontare le persone e la vita.
Oggi conosco e comprendo mio padre molto più di quando ero una bambina. Mantiene alcune ombre, tratti della sua personalità che non afferro e che ne fanno un mistero, per me. Ma è anche una certezza, in ogni cosa che fa o che dice. E nonostante i suoi difetti, mille, come per tutti noi, rimane per me un esempio. Il senso del sacrificio e del rispetto per gli altri, ecco cosa di lui seguirò. L’unico modo per rispettare se stessi.

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