Welfare
“Mio figlio”, per ricordare che si è padri anche in carcere
L’associazione Lavori in Corso di Lucera, che si prende cura delle famiglie dei detenuti ed opera per rafforzare il legame tra bambini e genitori, ha realizzato il video “Mio figlio” per ribadire il messaggio che un padre resta tale anche in carcere
Un giovane detenuto ha soli due minuti di tempo per parlare al telefono e rispondere alla chiamata che ha ricevuto. La guardia che lo scorta fino all’apparecchio telefonico che si trova nel penitenziario, è stata molto chiara. L’uomo afferra la cornetta del telefono e con la sguardo un po’ preoccupato dice: «Ho pensato a quella cosa che mi avevi chiesto». Silenzio. «Hai il mio permesso». E a queste parole un grido di felicità sbuca fuori dai fori dell’apparecchio. E’ la squillante voce del figlio, che incassata la risposta affermativa dal padre corre ad abbracciare la madre che lo aspetta sulla spiaggia. «Papà mi ha detto che posso dormire da Marco» e via, a correre felice verso l’amico e verso il mare che ha di fronte. Intanto il padre, il detenuto, l’uomo che aveva appena parlato con il figlio, sempre scorato dalla guardia carceraria si avvia lentamente verso la sua cella. Abbozza un sorriso, un sorriso che diventa sempre più grande, più espressivo. Che lo completa come padre e come uomo.
Perché un padre resta tale anche in carcere. E’ questo, infatti, il senso di “Mio figlio”, il video promozionale realizzato dall’associazione Lavori in Corso di Lucera che dal 2006 si prende cura delle famiglie dei detenuti e contribuisce a rafforzare il legame tra i bambini e i genitori che sono dietro le sbarre. Un’associazione nata su iniziativa degli avvocati Antonietta Clemente e Umberto Di Gioia «credendo fermamente nel cambiamento, nelle opportunità, nelle seconde possibilità». Nelle carceri italiane sono al momento reclusi oltre 50mila uomini. Molti dei quali sono genitori, con figli che sentono poco o niente, con bambini che non sempre hanno la possibilità di andare a trovare il proprio papà nel penitenziario in cui è recluso. «Tutti i figli hanno il diritto di conservare un rapporto con i propri genitori, anche se reclusi, e un padre resta tale anche in carcere» spiegano gli avvocati Clemente e Di Gioia. «La nostra associazione progetta “vite libere” insieme a chi vive l’esperienza del carcere e desidera un futuro diverso per sé e per la propria famiglia. Migliorare e chiarire i rapporti di coppia, i legami genitoriali e familiari, favorisce il reinserimento sociale a fine pena».
Secondo alcuni studi, infatti, un recluso che ha conservato i legami familiari rischia, in percentuale, tre volte meno la recidiva rispetto a un detenuto i cui legami familiari sono stati spezzati. Per questo motivo la famiglia è al centro delle attività messe in campo da Lavori in Corso, che nella realizzazione dei suoi progetti ha coinvolto ben 1.600 detenuti degli istituti penitenziari di Foggia e Lucera. In questi anni, dunque, il sodalizio «ha progettato e costruito luoghi fisici e relazionali all’interno del carcere, in cui i bambini si preparano all’incontro con il genitore e possono comprendere meglio le emozioni dell’incontro avvenuto, accompagnati da personale competente e formato».
Non a caso, il logo scelto da Lavori in Corso e realizzato da Antonella Tolve prende spunto dalla conta dei giorni che i detenuti fanno in carcere per “segnare” il tempo che passa, e raffigura le sbarre tagliate da un fascio di luce: uno spazio in cui tutto può succedere. Oltre a lanciare il video “Mio figlio”, l’associazione ha messo online anche il nuovo sito che «rappresenta uno strumento utile non solo per sensibilizzare la cittadinanza e diffondere i risultati delle attività messe in campo, ma» concludono Clemente e Di Gioia «anche per permettere ai parenti dei detenuti di contattare direttamente l’associazione, di fruire di strumenti pratici per gestire le problematiche che vivono quotidianamente e di avere un supporto psicologico, educativo e legale sulle tematiche legate alla genitorialità in carcere. I nostri “cantieri di cambiaMenti” hanno l’obiettivo di offrire un modello di presa in carico totale della persona rea, coinvolgendola in un percorso di reinserimento sociale, affettivo e genitoriale». Di qui, l’idea dell’associazione lucerina di realizzare il video scritto e diretto da Antonio Petruccelli, prodotto da Effetto Kulešov e con protagonista Adriano Santoro.
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