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Mio figlio è sordo. Ma ci sente

Un'associazione di genitori contro una proposta di rendere obbligatorio il linguaggio dei segni

di Antonietta Nembri

Ci sono sordi che possono sentire. «Io li chiamo i nuovi sordi», spiega Tiziana Basso, presidente dell?Aguav – Associazione genitori e utenti dell?Audiovestibologia di Varese, che è scesa in campo per esprimere la sua preoccupazione di fronte alla proposta di rendere obbligatoria per legge per tutti i sordi la Lis, ossia la lingua italiana dei segni. Preoccupazione condivisa da quanti, grazie alle protesi acustiche e all?impianto cocleare, possono udire. «Noi non abbiamo nulla contro la Lis, ma per noi sarebbe un triste ritorno al passato», continua la Basso. E proprio per questo alla conferenza stampa svoltasi a Milano, l?Aguav si è presentata con i bambini, a rappresentare i 650 sordi profondi (di cui il 70% per l?appunto in tenera età) che sono stati dotati di un impianto cocleare dal team varesino e le migliaia di piccoli con sordità cui sono applicate le protesi acustiche. «è stato un gesto simbolico per far capire che la sordità si può sconfiggere. Una delle esperienze più belle a questo proposito è quella che si fa in sala d?attesa all?ospedale di Varese: vi sfido a riconoscere i bambini in cura dai fratellini che li accompagnano». Lungi dalle intenzioni dell?associazione, che ha aderenti in tutta Italia, far credere che i sordi non esistano. «Piuttosto noi diciamo che sono necessari centri come quello di Varese che è un servizio dell?azienda ospedaliera. E poi sosteniamo che si debbano formare gli audiologi. Non chiediamo di togliere gli interpreti Lis o altro, ma non vogliamo una proposta di legge che imporrebbe a tutti i bambini sordi di apprendere la lingua dei segni e di essere seguiti da neuropsichiatri. Con l?impianto o le protesi un bambino può verbalizzare, vivere una vita insieme agli altri». Tiziana Basso spiega che il no alle proposte dell?Ens, l?Ente nazionale sordomuti, riguarda solo i casi dei bambini che, grazie ai progressi della ricerca, alle tecniche chirurgiche e alle tecnologie hanno capacità uditive simili a quelle di un normale udente. «Mio figlio ha avuto l?impianto cocleare tardi, aveva già sei anni», ricorda. «Dopo pochi mesi ha detto la prima parolaccia e per me è stata paradossalmente una soddisfazione, l?aveva sentita, imparata e detta al momento giusto».


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