Welfare

Minority report, così inquietante, così banale

Recensione del film Minority report di Spielberg

di Giuseppe Frangi

La civiltà del terzo millennio sembra aver trovato la sua regola fondante: prevenire, anche quello che potrebbe non accadere (vedi Bush in Iraq). Su questo nuovo dogma, profeticamente messo in romanzo da Philip K. Dick nel 1956, Steven Spielberg ha montato il suo nuovo film, Minority report. Nella Washington del 2054 gli omicidi sono azzerati grazie all?azione di una sezione speciale della polizia, la Pre-crime. Tre ex umani (i pre-cog) in una soluzione di lattice e ventose nel cervello anticipano le azioni degli omicidi potenziali. Sta poi all?abilità del capo della sezione John Anderton (Tom Cruise) correre contro il tempo sull?ala di quei labili indizi forniti. Ma c?è un particolare inquietante: le sentenze dei tre pre-cog non funzionano all?unanimità ma a maggioranza e il rapporto di minoranza è tenuto segreto anche al detective. Cosa significa il Minority report? Che non tutto quello che viene previsto deve per forza accadere. E allora quanti innocenti sono finiti in naftalina nella terrificante galera? Le certezze di John Anderton vacillano. Il film svolta. Cruise da pilastro del Pre-crime si trasforma in suo irriducibile demolitore. C?è chi ha rivangato la memoria di Blade Runner il capolavoro di Ridley Scott, ispirato sempre a Philip Dick. Scordatevi il paragone. Qui l?ipotesi di lavoro affascinante si banalizza scena dopo scena. Spielberg si conferma il più grande regista del cinema pop corn. Non chiediamogli di più.


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