Il caso

Minori stranieri e salute mentale: una storia di ordinario abbandono

Venerdì 21 in una comunità dell'udinese è avvenuto un episodio scioccante, ma tutt'altro che raro. In mancanza di protocolli specifici, un ragazzo pakistano di 17 con un disturbo psichico, è stato ricoverato nel reparto psichiatrico per adulti, dopo una serata di attese, ordini e contrordini

di Veronica Rossi

In alto un quadro col logo di Oikos Onlus, in basso, le impronte di tante mani colorate, con dei nomi scritti accanto

Quella che vi raccontiamo oggi è una storia esemplare. Ma non straordinaria, purtroppo. Rizwan (nome di fantasia) è un ragazzo di 17 anni. Viene da una zona particolarmente difficile del Pakistan. Arrivato sedicenne in Italia, dopo l’esperienza terribile del viaggio, ha subito dimostrato i segni di un disturbo post-traumatico da stress, come molti altri ragazzi che hanno condiviso la stessa esperienza. Il suo disagio, tuttavia, nel tempo si è rivelato essere ancora più profondo, tanto da richiedere un supporto medico. Ma le sue tribolazioni non finiscono qua. Perché nel nostro Paese, quando hai 17 anni, ricevere assistenza per un disagio psichiatrico è difficile: sei in una zona grigia, troppo grande per la neuropsichiatria infantile, troppo piccolo per la psichiatria degli adulti. Quando sei un minore straniero non accompagnato, le cose si complicano ancora di più. Eppure, non è raro che qualche ragazzo all’interno del sistema di accoglienza debba rivolgersi ai servizi di salute mentale.

Giovanni Tonutti in primo piano con una maglietta rossa, sullo sfondo una cartina del Sud America
Giovanni Tonutti, presidente di Oikos Onlus

«Una parte importante dei minori, circa uno su 20, presenta problemi psichici derivati dagli abusi e dai maltrattamenti che hanno subito, oltre ai traumi legati all’abbandono e al fatto di aver lasciato il proprio Paese», dice Giovanni Tonutti, presidente di Oikos Onlus, Ong che gestisce la comunità a Fagagna – cittadina nei pressi di Udine – in cui il minore era accolto. «In Regione mancano strutture di accoglienza per questi casi, che capitano più o meno ogni sei mesi nelle nostre comunità. Il ragazzo viene rimpallato tra neuropsichiatria e psichiatria, in struttura si arriva a uno stress tale, anche per gli altri minori accolti, che non si può far altro che cercare un’altra sistemazione. Che però non può essere una comunità identica, da un’altra parte: ci vogliono realtà che abbiano dei protocolli e personale sanitario preparato a gestire situazioni simili».

In mancanza di linee guida chiare, lo scorso venerdì, è andato in scena un episodio surreale, fatto di attese, ordini, contrordini e compromessi. Ne proponiamo una cronistoria.

19:00 – Il ragazzo, ricoverato al Centro di salute mentale – Csm di San Daniele (a una decina di chilometri dalla struttura di Fagagna) da giovedì sera, fugge, nonostante la sedazione. L’operatore di Oikos presente tenta a più riprese di calmarlo e di fermarlo, ma senza successo. Immediatamente vengono allertate le forze dell’ordine, mentre gli educatori iniziano a cercare il diciasettenne in strada. Elisa Sartori, coordinatrice della struttura, va a prendere la tutrice dell’adolescente. Il 112, intanto, consiglia al personale della comunità di mettere in sicurezza gli altri minori – alcuni di essi hanno anche 13 anni –, perché la persona scappata dal Csm ha minacciato di compiere atti violenti verso di loro. I ragazzi cenano, gli viene spiegata la situazione per evitare l’allarme e vengono portati in zone protette della struttura.

20:00 – Il minore arriva in comunità: ha corso per circa dieci chilometri, pur avendo assunto dei farmaci. Il coordinatore dell’area accoglienza di Oikos, accorso, lo trattiene all’esterno, mentre gli operatori controllano i ragazzi all’interno, per evitare che si spaventino. Si cerca di creare, per loro, l’ambiente più naturale possibile. Non vengono lasciati avvicinarsi alle finestre: se vedessero quello che accade fuori, potrebbero esserne turbati. Il diciasettenne afferma di non voler la terapia. Desidera rimanere nella struttura. Viene portato in bagno e messo a letto, senza avere contatti con il resto dei minori.

20:30 – Arriva la volante dei carabinieri, dopo più di un’ora dalla chiamata. Ce n’è solo una disponibile e, al momento dell’allerta, si trovava piuttosto distante. Le forze dell’ordine presidiano la situazione in attesa dell’ambulanza. Intanto, giungono in comunità anche la coordinatrice e la tutrice del minore, che sente il personale sanitario di San Daniele, il quale consiglia di chiamare l’ambulanza per portare il ragazzo a Udine, dove c’è un Servizio psichiatrico di diagnosi e cura – Spdc, un reparto in cui vengono ricoverati i pazienti psichiatrici adulti nelle fasi acute, e il pronto soccorso.

20:38 – Gli operatori chiamano per la prima volta l’ambulanza.

23:15– Arriva in struttura l’ambulanza, dopo diversi solleciti. Il ragazzo viene fatto salire sul mezzo. «C’era il rischio che potesse avere comportamenti oppositivi», spiega la coordinatrice. «Siamo riusciti a convincerlo accompagnandolo in due e facendogli fare un giro molto largo». Nel momento in cui è tutto pronto per partire, la centrale operativa delle emergenze nega il consenso a portare il minore a Udine. Andando contro l’indicazione dei medici del Csm di San Daniele. Sartori e la tutrice cercano di parlare con l’operatore della centrale, ma lui chiude la chiamata. Gli educatori di Oikos si trovano di fronte a un impasse: il minore ha bisogno di aiuto e loro non sanno come fare.

23:45 – I carabinieri prendono posizione. Dicono agli educatori:«Non possiamo stare a guardare». Decidono di far salire il ragazzo sulla volante, per portarlo in pronto soccorso a Udine. Assieme a loro partono il coordinatore dell’area accoglienza su un’auto e la coordinatrice della struttura con la tutrice su un’altra.

00:00 – Arriva un contrordine da parte della centrale operativa, mentre le macchine sono già in viaggio. I carabinieri non possono portare il ragazzo in pronto soccorso e devono fermare la voltante: dovrebbe occuparsene l’ambulanza, che tuttavia è già andata via. Il coordinatore dell’area accoglienza si trova costretto a prendere sulla propria auto il ragazzo, nonostante il rischio di comportamenti pericolosi, per portarlo a Udine, scortato dai carabinieri che si sono resi disponibili ad accompagnarlo.

00:20 – Le auto giungono in pronto soccorso. Gli operatori scoprono che l’Spdc non è stato informato dell’arrivo del ragazzo. I medici dicono che in reparto non lo possono tenere: è minore. In neuropsichiatria, invece, il diciasettenne non ci può stare: ha superato i 16 anni. È un momento di stallo. Anche il personale sanitario si trova in difficoltà, vorrebbe fare il meglio per il paziente, ma non ci sono linee guida certe.

01:30 – Dopo un consulto con una dottoressa, il ragazzo viene ricoverato in pediatria.

Sabato mattina – Il diciasettenne viene trasferito in psichiatria. Qui rimane, nonostante non sia il posto corretto per lui, che è ancora minorenne. «Si tratta del classico rimpallo per età», afferma Sartori, «in Spdc sono molto gentili, compatibilmente con la situazione. Tutti ci dicono che né la pediatria né il servizio psichiatrico di diagnosi e cura sono i reparti giusti per lui: dovrebbero esserci percorsi e strutture pensati specificamente per questi ragazzi. Non si tratta solo di un problema dei minori stranieri non accompagnati, ma di tutti gli adolescenti di questa età con disturbi psichici»


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