Famiglia

Minori rom: la posizione di Arciragazzi

«I diritti valgono in blocco, non se ne può usare uno per violarne un altro».

di Redazione

Non è mai sufficiente, evidentemente, citare la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, diventata legge dello Stato italiano, attraverso ratifica, nel 1991.
Convenzione che all’articolo 2 tutela ogni bambino e bambina da norme e pratiche discriminatorie. Non sono previsti interventi quali prendere le impronte digitali, tanto più se questa pratica assume aspetti a sfondo etnico, razziale.
Se infatti è vero che per ciascun bambino ha diritto al nome e all’identità, questo deve avvenire con le stesse modalità con le quali si riconosce l’identità di tutti i bambini. Il riferimento del Ministro Maroni all’art.3, il “supremo interesse del bambino” risulta essere funzionale e strumentale alla posizione del Ministro. Infatti,  la Convenzione specifica che in nessun caso un diritto possa essere utilizzato per negarne altri, pena la totale vanificazione della Convenzione stessa.


Per quale motivo dovremmo introdurre una pratica così aberrante, quella di prendere le impronte digitali dei bambini, nei confronti dei bambini rom? Per darli in pasto a quanti vogliono una società che può additare il male negli altri, a partire dai bambini?
Essendo tutti i bambini una faccenda seria, non possiamo che avvicinarci a loro con estrema serietà, disponibilità al rispetto, alla tutela, alla loro promozione come esseri umani.
Per chi conosce anche solo poco la storia dei rom, sa quanto essi siano genitori sufficientemente buoni, quanto amino i propri figli. Per far crescere al meglio questi bambini servono interventi mirati nel campo delle politiche a favore delle loro popolazioni, il cui nomadismo è oggi solo quello di chi deve trovare quotidianamente il sostentamento, laddove non sono stati fatti interventi politici efficaci. Non possiamo scordarci che la questione nomadi riguarda ciascuno di noi, fosse anche solo perché la maggior parte di loro sono cittadini italiani. Non può essere lasciata a un Ministro pro tempore dello Stato, in cerca di consensi e di acclamazioni popolari.


Nei Comuni del nostro Paese in cui si sono attuati interventi condivisi con le popolazioni rom e sinti, i bambini vanno a scuola, non fanno accattonaggio, seguono corsi di orientamento lavorativo, lavorano da giovani e da adulti nei cantieri, nelle officine, nelle fabbriche, vivono nelle case, hanno famiglia.
Laddove si è steso un velo di disinteresse su queste popolazioni i problemi si sono sviluppati, come sempre quando il welfare locale è debole, disinteressato, poco lungimirante. Questo anche come conseguenza della modifica del titolo V della Costituzione che ha  delegato agli EE.LL. gli aspetti di welfare regionale e municipale, con politiche che si stanno sempre più diversificando sul territorio nazionale. Aspetto che è oltre modo importante per i rom che attendono da anni il riconoscimento come minoranza linguistica, cosa che li tutelerebbe maggiormente come politica nazionale unificante, oltre a metterli in condizione di valorizzare il patrimonio culturale di cui sono portatori.
Serve passare dal ritenerli un problema a considerarli una risorsa, superare il muro di ostilità e di pregiudizio che li circonda, valorizzare le buone pratiche presenti sul nostro territorio.
Servono serie politiche abitative, passare dai campi alle case, politiche scolastiche, sanitarie, di accompagnamento, con loro. È possibile, ci sono molteplici esempi significativi. 
Non c’è altra strada se vogliamo far crescere ogni bambino, loro, nostro, senza gravarlo fin da piccolo delle nostre paure, carenze, sfiducie.


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