Famiglia

Minori, le associazioni alzano bandiera bianca: «Siamo al capolinea»

A marzo chiudono i tre centri di pronta accoglienza

di Benedetta Verrini

Il credito col Comune ormai ammonta a 30 milioni di euro. Gli operatori
da mesi senza stipendio: «Impossibile andare avanti» Èun terremoto che scuote dalle fondamenta tutte le realtà sociali che si occupano di minori, il caso Napoli. La vicenda è nota da tempo: le case famiglia, le comunità di accoglienza, i centri di pronta accoglienza, tutte le realtà che si occupano di accogliere e assistere minori allontanati dalla famiglia (nella città sono circa 70 comunità sulle 204 campane) e che dovrebbero essere sostenute dal Comune attraverso il pagamento delle rette, non ricevono pagamenti da due anni.
Il grido di allarme più disperato lo ha lanciato la Federazione Sam, che dopo alcune forme di protesta, come l’occupazione del Distretto di Santa Margherita a Fonseca, circa un mese fa, ora alza bandiera bianca: «Dal primo di marzo chiuderemo gli unici tre centri di pronta accoglienza della città, nei quali passano ogni anno circa 300 bambini e adolescenti», ha annunciato il presidente, Cesare Romano. Una decisione sofferta, che lascia subito senza un tetto 15 minori e che sospende dal lavoro diversi operatori sociali (i quali, peraltro, non ricevono lo stipendio da mesi). «La responsabilità è dei nostri amministratori», affonda Romano. «Sono anni che chiediamo di stabilizzare i servizi indispensabili e puntualmente l’indifferenza, la superficialità e una buona dose d’incapacità mettono in ginocchio il welfare di questa città». Secondo la federazione, il debito accumulato dal Comune è di 30 milioni di euro e a ben poco servirà lo sblocco, presso la Regione, dei 2 milioni ripetutamente annunciati dall’amministrazione.
Ma lo stato di emergenza si allarga a tutte le realtà del sociale, in una città che detiene un alto tasso di allontanamento familiare dei minori (500 all’anno) e che mostra la sofferenza di tutta una regione (sono 1.570 i ragazzi in comunità in tutta la Campania). Persino le istituzioni religiose hanno iniziato a mettere in atto forme di protesta. Uneba Napoli ha organizzato un volantinaggio fuori dalle chiese per rendere noti i motivi dell’agitazione. «Molte congregazioni religiose che ospitano minori e anziani ci chiamano per dirci che vorrebbero chiudere i loro centri: non ce la fanno più», denuncia il presidente locale Lucio Pirillo, che si dice pronto a organizzare una manifestazione nazionale di tutte le strutture religiose, con suore, sacerdoti e laici in piazza.
La preoccupazione per il crac delle politiche sociali a Napoli è condivisa anche dalle comunità del Cnca, che per ora non hanno organizzato forme attive di protesta ma vivono in prima linea questo momento che definiscono «di grave sofferenza». La domanda che resta nell’aria, di fronte a questo sfacelo, è soprattutto chi – e in che modo – nella lunga catena di rimpalli tra Comune, Regione, governo, si assumerà davvero la responsabilità di questi minori. Sono già stati allontanati, abbandonati, abusati: non meritavano di essere traditi anche come cittadini.


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