Welfare

Minori: i cappellani delle carceri e le associazioni bocciano il ddl Castelli

Si chiama "Castelli per i minori" ed è un documento durissimo contro la riforma del diritto minorile in materia penale proposto dal ministro. Don Rigoldi: "Così li vogliono seppellire"

di Benedetta Verrini

Una posizione ferma e durissima contro quello che ritengono un disegno di legge inutile, controproducente e di stampo vendicativo: così oggi a Milano i Cappellani delle carceri per minorenni e i Cappellani delle carceri lombarde (insieme a Caritas Ambrosiana, Cnca, Compagnia delle Opere no profit, Conferenza regionale Volontariato giustizia della Lombardia) hanno espresso il loro no al disegno di legge Castelli sulla materia penale, in particolare, a quella parte del provvedimento che imporrebbe il trasferimento diretto dal carcere minorile al carcere per adulti. “Siamo in grado di recuperare almeno il 70% dei ragazzi che entrano nel carcere minorile” dice Don Gino Rigoldi, da 32 anni cappellano al Beccaria di Milano. “L’idea di spostarli in un carcere per adulti significa azzerare tutto il cammino educativo intrapreso, significa seppellirli in un mondo che li perderà definitivamente”. Don Rigoldi rileva come il disegno di legge Castelli sia giunto in risposta a un allarme sociale “scatenato da tre soli gravi casi di cronaca: quello di Sesto San Giovanni, quello di Novi Ligure e quello di Chiavenna. Ma se uno dà un’occhiata alle statistiche del ministero della Giustizia, scopre che non c’è alcun incremento alla devianza e ai delitti contro la persona, che l’anno scorso erano appena il 9% del totale”. E’, in particolare, la premessa culturale da cui è scaturito il provvedimento del Guardasigilli a preoccupare i rappresentanti del volontariato e i Cappellani: “Quando un minore delinque tutta la società è chiamata a domandarsi il perché, e ad assumersi una responsabilità” dice Don Virginio Colmegna, direttore della Caritas Ambrosiana. “Questo disegno di legge, così come è impostato, rappresenta un’illusione: quella che la società può stare tranquilla solo rinchiudendo i minori che sbagliano. E’ un’idea “carcerocentrica” che non possiamo condividere. Chiediamo che su questo tema si possa fare una pausa di riflessione, per un dibattito scientifico e civile che individui le soluzioni più adeguate”. Per questo la rappresentanza dei Cappellani e delle associazioni e realtà del Terzo settore competenti ha redatto un documento di valutazione e proposta. In esso si esprime “stupore e dissenso per la premessa scritta nella relazione introduttiva e declinata nell’art.4, dove si afferma che a 16 anni la capacità di delinquere di un adolescente è già pressoché adulta e da trattare come tale. affermazione questa in contrasto con la comune e condivisa esperienza delle famiglie e degli educatori”. “Un sano approccio educativo o rieducativo, se non esclude la punizione è tuttavia ben consapevole della realtà e delle possibilità del carcere e perciò non mette l’enfasi su tempi lunghi di carcerazione quanto piuttosto su un più corposo intervento educativo all’interno degli istituti ma soprattutto nel sostegno alla famiglia del minore, nell’opera delle comunità e nel rinforzo dei servizi sociali ede educativi dedicati ai minori presenti nei territori” In secondo luogo, rileva il documento, c’è grande preoccupazione per “la possibilità attribuita al giudice della esecuzione di disporre il trasferimento agli adulti (“salvo ragioni particolari..che inducano a confermare o disporre l’esecuzione in istituti per i minorenni”) dei detenuti al compimento della maggiore età. Il compito che la legge attribuisce alla pena e quello prevalente della riabilitazione, tale funzione diventa ancor più cogente quando si rivolge a personalità immature e in costruzione come è per gli adolescenti. La gran parte dei progetti educativi rivolti ai minori detenuti oggi supera l’età dei 18 anni e verrebbe drammaticamente interrotta e compromessa dal trasferimento in carceri per adulti sovraffollati e in gravi difficoltà anche per le più semplici azioni di recupero sociale finora introdotte per gli adulti stessi”. “Ancora una volta risulta urgente – conclude il documento – un’energica azione educativa che coinvolga la famiglia come la scuola, gli oratori, i responsabili dei gruppi sportivi e di tutti i luoghi dove i giovani si incontrano. Puntare alla minaccia di pene più alte o ancor peggio applicarle magari in carceri adulte sovraffollate dove il giovane diventa prima garzone e poi apprendista della criminalità adulta non ci appare una buona scelta di riabilitazione nè di prevenzione in contrasto con lo spirito della nostra Carta costituzionale e della Carta dei diritti del fanciullo”.


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