Non profit

Minori e adolescenti, ecco chi pagherà il conto

di Sara De Carli

La casa è meravigliosa. Persino la rampa dell’ascensore è affrescata. Sul divano e sulle mensole, giocattoli e libri. I letti sono fatti, ognuno con un peluche sul cuscino. È la Casa di Paolo e Piera, una comunità educativa per minori inaugurata il 5 giugno 2011 a Olgiate Comasco. È costata un milione di euro, raccolti sul territorio dalla Fondazione Paolo Fagetti. Una nuova donazione, 200mila euro, è arrivata appena prima di Pasqua. Ma è vuota. In dieci mesi non ha mai visto un bambino. Enrico Fagetti è il presidente dell’associazione e il papà di Paolo, morto a 30 anni in moto: faceva il volontario in quello che era ancora un istituto per minori, e i genitori hanno deciso di continuare a far vivere almeno i suoi progetti. Enrico è deluso e arrabbiato: «Possibile che in Italia nessun bambino abbia bisogno di un aiuto di questo tipo, quando pochi anni fa le comunità avevano le liste d’attesa? Ci avessero detto che questo era un servizio inutile, avremmo fatto altro. Sembra che i bambini siano spariti. In realtà sono spariti i soldi».
Enrico non ha paura di dire a voce alta quello che in tanti sussurrano: «Con i tagli dei trasferimenti agli enti locali, i Comuni non hanno più i soldi per pagare le rette e quindi non allontanano più i minori. Preferiscono lasciarli in famiglia, anche quando la situazione è estremamente compromessa». Il 16 aprile alla Casa di Paolo e Piera arriveranno i primi cinque bambini, ma per un servizio diurno. L’offerta che la società La Villa, che gestisce la comunità, ha fatto ai servizi? «Solo 26 euro al giorno», dice Enrico. «Pur di cominciare?».

Piani di Zona addio
In questo 2012 che in realtà ancora non è l’annus horribilis delle politiche sociali locali (i nodi verranno al pettine nel 2013), la tattica dei sindaci è la medesima che fu di Fabio Massimo ai tempi delle guerre puniche: temporeggiare. Si riserva il gruzzoletto per le prestazioni “hard”, inderogabili, e per il resto si rimanda. La legge 285 (quella che nel 1997 inaugurò la stagione delle sperimentazioni innovative nei servizi per la prima infanzia e della progettazione per il tempo libero e il sostegno alla genitorialità) sembra evaporata: tanti Comuni nemmeno fanno più i bandi e quei soldi vengono dirottati dai progetti sperimentali alla copertura dello strutturale. Altri Comuni, specie i più piccoli, stanno uscendo dai Piani di Zona. I primi a saltare sono stati, ovunque, i servizi educativi leggeri, dai centri di aggregazione giovanile ai doposcuola. «Le ludoteche, che sei anni fa andavano tantissimo, si sono ridotte almeno del 30%», valuta Irene Milone, presidente del Consorzio La Nuvola di Brindisi. La prevenzione è sparita. «Si tira in là, si fanno tanti interventi tampone e si invia in comunità quando la situazione è esplosa», dice Liviana Marelli, referente nazionale per i minori del Cnca. «Noi vediamo arrivare ragazzi sempre più grandi, adolescenti di 15/16 anni, con situazioni sempre più complesse, spesso borderline, dove si intersecano problemi psichiatrici o penali. Ormai c’è solo l’intervento riparativo, che impone il collocamento in strutture altamente specializzate».

Niente psicologi
Al Caf di Milano, che accoglie bambini maltrattati e abusati, hanno infatti le liste d’attesa: «Ma i ragazzi sono sempre più “presi per i capelli”», dice Francesca Imbimbo, pedagogista. I tagli qui li vedono nel fatto che a pagare lo psicologo per questi ragazzi, che non è esattamente un optional, non è più la Asl ma lo stesso Caf. La medesima cosa accade alla cooperativa Afa di Bergamo, dove l’età media dei ragazzi accolti in pochissimo tempo è balzata da 12 a 15 anni: «Abbiamo molti ragazzi con doppia diagnosi, casi che quattro anni fa non avremmo accettato ma che ora sono diventati l’utenza principale», spiega Francesco Fossati, il presidente. «Questo ci obbliga a inserire nuove figure professionali nell’équipe, abbiamo aperto consulenze con un neuropsichiatria e con alcuni psicologi. Ovviamente a nostro carico, la retta rimane invariata».

Rette sempre più basse
A dire il vero i Comuni le rette non solo le lasciano invariate, ma chiedono di ridurle, rivedendo le convenzioni. Proprio all’Afa ? nelle comunità di pronto intervento una delle più richieste ? i Comuni stanno imponendo ampi sconti sulla retta di 98 euro al giorno: «Siamo scesi a 88 euro e nel caso di fratelli anche a 75», ammette Fossati. L’Emilia Romagna invece il primo gennaio 2012 si è regalata un maxisconto collettivo andando a rivedere la direttiva regionale, che risaliva appena al 2007. Il difetto della vecchia, però, è che prevedeva requisiti troppo costosi: da quest’anno le maglie si fanno più larghe, la capienza sale a 12, il rapporto educatori/minore scompare e viene inserita come tipologia la struttura semiresidenziale, che dimezza i costi, portandoli attorno ai 60 euro.

Il ratto dei bambini
«Questa nuova direttiva è centrata sulle esigenze di gestione dei Comuni», dice Marco Conti, vicepresidente della cooperativa Paolo Babini di Forlì. «Eppure ci stanno chiedendo di portare le rette del residenziale sotto i 100 euro, minacciando di portare i bambini in Veneto». Dove hanno puntato su affido e comunità famigliari e dove i prezzi sono, di conseguenza, molto più bassi.
Lo sconto si chiede sui soldi o sul tempo. Lo vede, proprio in Veneto, Claudio Roncoroni, che dirige una comunità mamma-bambino dove fanno invii ad alta protezione, spesso con casi di abuso e maltrattamento intrafamigliare: «Nel 2010 ospitavamo 7 nuclei, oggi ne ho 4. E se una volta si ragionava su un tempo di un anno per trovare casa, lavoro, dare autonomia a queste mamme, oggi i Comuni


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