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Minori dall’Ucraina, la mappa dell’accoglienza
Dopo due settimane di guerra, sono 12.676 i minori entrati in Italia. La grandissima parte è arrivata insieme alla mamma, ma è anche vero che in Ucraina ci sono 663 istituti per minori, con 98mila bambini e ragazzi. Servono percorsi rapidi e insieme rigorosi. Ma fra comunità piene, tutori volontari insufficienti e poche famiglie affidatarie, come e quanto siamo pronti a dare risposte?
Ventitre bambini in queste ore si stanno mettendo in viaggio verso l’Italia, per mettersi in salvo dalle bombe e dalla guerra. Vengono da due case famiglia dell’Ucraina, che nei giorni scorsi sono state evacuate in Polonia e in Moldavia. Un gruppo viaggerà in aereo, un altro in pulman. Arriveranno fra lunedì e martedì. Viaggeranno con i loro educatori e troveranno accoglienza in Italia grazie ad Amici dei Bambini: resteranno insieme, in due strutture della Lombardia. Oltre a un tetto e un letto caldo, la rete di AiBi si sta già adoperando per trovare mediatori culturali, volontari che parlino ucraino, supporti educativi, raccordi con la scuola… Sono bambini che i genitori non li hanno, ma non sono “minori soli”: la responsabilità resta in carico ai servizi sociali ucraini che hanno contattato AiBi e organizzato l’evacuazione. Sono vent’anni che AiBi è presente in Ucraina sia come ente autorizzato alle adozioni internazionali sia con una propria fondazione di diritto ucraino: «In Ucraina ci sono 663 istituti per minori. Accoglievano 98mila minori. Non tutti i bambini hanno uno status di abbandono, la maggior parte sono orfani sociali, le famiglie li mandano lì per farli studiare: questi sono rientrati in famiglia», spiega Marco Griffini, presidente di AiBi. «Negli istituti sono rimasti i minori per cui è documentato uno stato di abbandono. Al di là di quello che si legge sui social, gli unici minori che stanno uscendo dal Paese senza genitori sono questi. Lo fanno con i loro educatori, quando per tutti i bambini dell’istituto è stata trovata in un altro Paese una sistemazione, dietro richiesta dei servizi sociali ucraini. Anche in Moldavia, dove siamo presenti, nei campi profughi non ci sono minori soli. Lo dico con preoccupazione perché anche noi abbiamo visto girare un messaggio che annunciava l’arrivo di un pulman di minori ucraini e invitava le famiglie disponibili all’accoglienza a chiamare un certo numero di telefono. Abbiamo provato e non ci ha risposto nessuno. Ma se fosse vero, se qualcuno avesse accolto un minore solo senza segnalare la cosa alle istituzioni, sappia che è un reato».
In Ucraina, racconta Griffini, «si è costituita una “Rete di protezione dei diritti dei bambini”, che è una rete di associazioni locali che in collaborazione con i servizi stanno facendo questa opera di segnalazione degli istituti che hanno necessità di essere evacuati. Noi associazioni comunichiamo a questa rete la disponibilità di una struttura con un certo numero di posti e loro, in contatto con i servizi sociali, individuano l’istituto da far partire. Non sono minori non accompagnati, la tutela resta in capo ai servizi sociali ucraini. Anzi, stiamo stabilendo un accordo di collaborazione fra loro e la nostra fondazione locale. Lato nostro, abbiamo già informato i presidenti dei tribunali per i minorenni dei territori di accoglienza e la Commissione Adozioni Internazionali». È un passaggio fondamentale, dal momento che essendo in Ucraina minori in stato di abbandono, alcuni di loro potrebbero essere abbinati a coppie straniere per l’adozione internazionale: «Potrebbe essere. Noi non lo sappiamo. Per questo è fondamentale che tutto avvenga con un iter preciso e che la Cai sia informata». Anche i minori già abbinati a coppie italiane – 23, ci ha detto nei giorni scorsi il vicepresidente della CAI Vincenzo Starita – potrebbero essere in una situazione analoga: in un altro Paese, insieme ai loro educatori. Dei minori vanno tenute tutte le tracce, come ripetono allarmati in questi giorni la Garante Infanzia, i giudici minorili, le associazioni.
AiBi sta cercando altre strutture, sul territorio nazionale, già disponibili o da sistemare in fretta per poter accogliere i bambini in arrivo da altri istituti: 663 sono tanti. «Stiamo trovando grande disponibilità nelle congregazioni religiose che hanno strutture vuote. A Mulazzano per esempio, un comune della provincia di Lodi, stiamo riattando una ex casa di suore con una gara di solidarietà infinta: in dieci giorni sarà pronta una struttura idonea ad accogliere 18 persone. L’amministrazione e la popolazione stanno collaborando in maniera eccezionale, altre famiglie stanno mettendo a disposizione la propria casa per accogliere mamme con bambini: questo è importantissimo perché un tetto non basta, avere accanto alla comunità una mamma che parla italiano è una risorsa preziosa. In generale accoglienza vuol dire anche attrezzarsi subito per la scuola, stiamo vedendo come avviare una classe per i bambini di questi istituti, tenendoli insieme anche a scuola, inizialmente ci sembra più opportuno e poi man mano inserirli nelle classi già esistenti. E poi c’è il tema del lavoro: tra le famiglie che abbiamo già accolto c’è una mamma che di professione è interprete, ovviamente la coinvolgeremo e la faremo lavorare», racconta Griffini. Che non nasconde i problemi e le preoccupazioni, nell’organizzazione della risposta all’emergenza: «Manca un coordinamento. Siamo partiti con il piede giusto con il coinvolgimento del Terzo settore nella cabina di regia, ma i giorni passano e non vedo passi avanti».
Minori, minori soli, orfani
A venerdì 11 marzo, dopo due settimane di conflitto, secondo i dati del Viminale, sono 31.287 i profughi entrati in Italia: 15.830 donne, 2.781 uomini e 12.676 minori. Il numero relativo ai minori non indica quanti siano entrati insieme a un familiare o per ricongiungersi con un genitore e quanti siano invece minori soli: si tratta di un dato che però bisogna che venga comunicato al più presto, perché se ci sono aspetti dell’accoglienza di bambini e ragazzi – la necessità di mediatori culturali, il diritto alla scuola e alla salute – che valgono sia che si tratti di minori soli sia che si tratti di minori che sono qui con almeno un genitore, ce ne sono altri che cambiano sostanzialmente nei due casi. E se l’imponente e generosa rete di disponibilità famigliare che si è prontamente mobilitata in questi giorni è una risposta meravigliosa per l’accoglienza di nuclei famigliari, l’accoglienza di un minore solo esige qualche attenzione in più come hanno in questi giorni evidenziato la Garante Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, l’Associazione Italiana Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, il Tavolo Nazionale Affido, il Tavolo Minori Migranti e tantissime associazioni che stanno insistendo sulla preparazione delle famiglie e il loro sostegno, sia per evitare attese improprie o forzature verso richieste adottive sia per rendere l’accoglienza durevole nel tempo, evitando che dopo il primo momento di entusiasmo il bambino debba vivere un secondo allontanamento dovuto alla stanchezza o indisponibilità della famiglia. L’accoglienza dei minori soli deve avvenire dentro la filiera istituzionale, a tutela dei minori. La verità è questa, al di là dei tanti post che impazzano sui social spiegando “come si fa” ad accogliere in casa un bambino dall’Ucraina.
Quali sono, allora, concretamente le strade percorribili per rispondere ai bisogni di questi piccoli in fuga dalla guerra? E a un’emergenza di quale entità siamo verosimilmente pronti a rispondere? Giusto per avere un termine di paragone, al 31/12/2019 – ultimo dato ufficiale disponibile – in tutta Italia erano 13.555 bambini e ragazzi di minore età in affidamento familiare (al netto dei MSNA), e 14.053 quelli fuori famiglia accolti nei servizi residenziali per minorenni.
Abbiamo provato a mettere in fila alcuni snodi.
Il bisogno
Il bisogno, innanzitutto. Ancora oggi, dai territori, la sensazione è che ci sia una richiesta importante di accoglienza per nuclei famigliari ma non ci sia (forse solo per ora) richiesta di attivazione per minori soli. «Ci sono alcuni minori da collocare perché arrivano da un parente – una mamma, una nonna, uno zio – che già lavora in Italia e che non ha la possibilità di accoglierli in maniera adeguata per motivi di spazio, perché lavora, perché i bambini coinvolti nel ricongiungimento sono molti», racconta Marco Giordano, presidente di Progetto Famiglia e portavoce del Tavolo Nazionale Affido. «Per esempio sono arrivati quattro nipoti fra i 10 e i 17 anni di una nonna che fa la badante nella nostra zona: lei non può lasciare il lavoro e vive in un monolocale. Si faranno degli affidi consensuali». Identica la percezione di Liviana Marelli, referente minori del CNCA-Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza: «La richiesta ad oggi riguarda soprattutto mamme con bambini. Ci sono richieste di posti per minori, in affido o in comunità, ma legati sostanzialmente all’impossibilità di accogliere tutti i minori coinvolti nel ricongiungimento». Un primo punto fermo, in ogni caso, è che si adotti su tutto il territorio nazionale una modalità operativa che preveda una governance dello Stato, per monitorare e validare le molteplici iniziative già in atto, per rendere tracciabili tutti i minori ucraini variamente giunti in Italia, scongiurandone la possibile sparizione o sfruttamento. Tutti i minori ucraini che si trovino in Italia, privi di entrambi i genitori, vanno quindi segnalati.
I MSNA
Per i minori stranieri non accompagnati secondo la legge la responsabilità pubblica della presa in carico (per definizione progetto, monitoraggio ecc.) è in capo al Comune in cui il minore è stato trovato. Il minore ha diritto alla nomina di un tutore volontario (previsto dalla legge 7 aprile 2017 n. 47) oppure si procede alla nomina a tutore di un familiare diverso dai genitori o di un’altra persona di fiducia dei genitori, previa verifica della situazione da parte dei servizi sociali. I tutori volontari, però, erano già del tutto insufficienti per il numero di MSNA presenti in Italia già prima dell’emergenza legata alla guerra in Ucraina: una carenza che riguarda tutte le regioni d’Italia, ad eccezione del Molise. Cosa buona e giusta sarebbe quindi promuovere immediatamente una campagna informativa e di sensibilizzazione su questo strumento e far partire nelle varie regioni nuovi corsi formativi per tutori volontari per MSNA: una figura innovativa e di grandissimo potenziale, che incarna contemporaneamente l'idea di una genitorialità sociale e di cittadinanza attiva.
Il SAI-Sistema Accoglienza e Integrazione
Il Viminale ha disposto, per rispondere all’emergenza ucraina, un rafforzamento della rete di accoglienza con 5mila nuovi posti nei CAS e 3mila nel SAI-Sistema Accoglienza e Integrazione. I profughi ucraini potranno accedervi anche se privi della qualità di richiedente protezione internazionale. I profughi provenienti dall’Ucraina potranno inoltre beneficiare dell’estensione di posti prevista precedentemente per i profughi della crisi afghana. La collocazione dei minori stranieri non accompagnati è prevista all’interno del sistema SAI. «Questa mattina ho firmato un nuovo contratto di locazione per un appartamento che può ospitare due nuclei familiari, ma anche sul SAI per minori – che abbiamo – non siamo al momento sollecitati», afferma Marelli. Pure l’accoglienza di famiglie con minori nel SAI ordinario a onor del vero è un nodo da affrontare, dato che finora questa accoglienza ha riguardato solamente adulti soli. In caso di bisogno, negli appartamenti del SAI – compresi quelli destinati ai minori – è già previsto il “quinto d’obbligo” ovvero la possibilità di aumentare le persone accolte fino al 20% dei posti disponibili. Qui ovviamente si apre il tema dei fondi: perché la generosità nell’accoglienza non può essere voler far le nozze con i fichi secchi.
Le comunità per minori
Le comunità educative per i minori sono luoghi già autorizzati e già attrezzati per rispondere ai bisogni di un minore senza figure di riferimento. Anche un minore ucraino che ha raggiunto la mamma o la nonna in Italia, ma che per varie ragioni non può vivere insieme a lei o di cui lei non può prendersi cura in maniera piena, può trovare in comunità l’appoggio e le garanzie necessarie, fermo restando il suo legame con la famiglia. Quanti potrebbero essere i posti disponibili nelle circa 4mila comunità d’Italia? Non lo sa nessuno, qualcuno certo sì ma certo non tantissimi. Le comunità sono tutte piene e spesso in grandi difficoltà sia per ragioni di sostenibilità economica (i minori accolti hanno bisogni sempre più complessi a cui con la quota riconosciuta dall’ente pubblico non si riesce a far fronte) sia per il fatto che gli educatori sono pressoché introvabili. Ci stiamo preparando all’emergenza? Sarà anche vero, ma un censimento dei posti che potrebbero essere disponibili in questo canale al momento nessuno lo ha chiesto.
L’affido familiare e le famiglie come risorsa
L’altra via per garantire a un minore non solo un’accoglienza ma anche il sostegno educativo e affettivo di cui ha bisogno per crescere è quella dell’ingresso in famiglia. Normalmente lo strumento per far sì che la famiglia che accoglie il minore sia “quella giusta” per lui è l’affido: strumento che presuppone non solo una formazione della famiglia ma anche una sua approfondita conoscenza da parte dei servizi sociali che in questo modo possono fare l’abbinamento migliore tra la famiglia e il minore. I servizi affidi anche di piccole città di provincia si stanno attivando come non mai, anche tramite post su facebook per cercare affidatari per i minori in arrivo dall’Ucraina (ricordiamo che l’affido è possibile anche per i single). L’altra ricerca riguarda volontari di madre lingua ucraina disponibili ad affiancare questi bambini e ragazzi come mediatori e facilitatori linguistici, magari telefonando ogni giorno al ragazzo per accompagnarne l’inserimento in famiglia. «Non ci aspettiamo numeri enormi in questa zona, ma vogliamo farci trovare pronti», ci dicono dal campo. Ci si sta attivando anche in comuni relativamente piccoli, perché la geografia degli arrivi in questa emergenza segue soprattutto i contatti personali, di cui nessuno può immaginare direttrici, flussi e portata. «Abbiamo due coppie già selezionate per l’affido che sono disponibili all’accoglienza di minori dall’Ucraina, ovviamente se servisse il primo pensiero andrà a loro. Ma se arrivassero anche solo 5 o 6 minori, non avrei dove accoglierli. Preferisco muovermi d’anticipo, raccogliere le disponibilità delle famiglie e avere il tempo di incontrarle, fare insieme a loro un esame di realtà rispetto alla loro disponibilità e alla possibilità di dedicare tempo a questo minore», ci spiegano.
«L’onda emotiva sta spingendo tantissime persone a mettersi in gioco e anche noi di Progetto Famiglia, come tante associazioni, stiamo raccogliendo tante disponibilità. Abbiamo predisposto una piccola guida per gli “aspiranti accoglienti” e gli assistenti sociali di Progetto Famiglia stanno ricontattando le famiglie per valutare le disponibilità effettive. Se venissimo contattati, metteremo a disposizione innanzitutto la rete delle nostre famiglie affidatarie, che hanno già esperienza, magari chiamando queste famiglie di nuova disponibilità ad affiancarle, così da passare dall’idea astratta di accoglienza ad una sorta di autovalutazione della propria reale capacità», dice Giordano.
«Noi stiamo consigliando alle famiglie di dare la loro disponibilità al comune in cui risiedono, affinché l’ente pubblico abbia una evidenza delle disponibilità. Per le organizzazioni che hanno già raccolto o stanno raccogliendo disponibilità, vale lo stesso consiglio: gli abbinamenti devono passare dall’ente pubblico», sottolinea Liviana Marelli. Ora, è evidente che in situazioni emergenziali «è impensabile che l’iter di valutazione della famiglia affidataria sia quello standard, che ha tempi anche lunghi», ammette Marelli. Che fare allora? Un’ipotesi che si sta vagliando è quella di inserire i minori non accompagnati in famiglie che già hanno fatto esperienza di accoglienze solidaristiche temporanee (secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sono stati accolti in Italia più di 520mila minori stranieri in questo modo, di cui il 15% proprio dall’Ucraina), segnalandolo sempre all’ente pubblico e dentro un percorso minimo di corresponsabilità, con i servizi che mentre il minore è già inserito in famiglia fanno la valutazione della famiglia e monitorano l’esperienza così che al termine dei 120 giorni previsti per l’accoglienza temporanea nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza dei minori stranieri (programmi che peraltro erano stati sospesi per via del Covid e la cui sospensione è stata revocata dall’Italia pochissimi giorni fa) se ve ne fosse ancora necessità sia possibile confermare la permanenza del minore nella stessa famiglia, questa volta con un affido.
Nella foto di copertina, rifugiati aspettano un treno per la Repubblica Ceca, foto di © Serhii Hudak:Avalon:Sintesi
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