Famiglia

Minore e transgender: si toglie la vita in comunit

E' successo in provincia di Agrigento. "Per le persone diverse ci sono pochissimi servizi, vengono allontanati", spiega l'assistente sociale Rita Noto

di Redazione

Si è tolta la vita a sedici anni impiccandosi con un foulard nella stanzetta della comunità alloggio, l’unica che l’aveva accolta con la sua “diversità”. Sono state probabilmente le sofferenze del suo passato legate alla non omologazione sessuale a spingere il transgender Loredana, all’anagrafe Paolo, a farla finita con la vita.
E lo ha fatto mercoledì della scorsa settimana nella comunità ‘Alice’ di Palma di Montechiaro (Agrigento) lasciando senza una risposta i tanti ‘perchè’ delle persone ed operatori sociali che si erano interessati a lei ed alla sua situazione lottando contro le difficoltà di un sistema che sembra non prevedere le diversità.
“Le comunità maschili dicevano che destabilizzava il gruppo, altrettanto quelle femminili e poi inserirlo in queste ultime poteva significare rafforzare la tendenza che poteva ancora non essere radicata visto che era un adolescente. E stato un percorso lungo, non è stato semplice”.
E’ quanto racconta ad Apcom la dottoressa Rita Noto, l’assistente sociale affidataria che, su indicazione del Tribunale dei minori di Catania, si è occupata dall’inizio della vicenda di Loredana. “Voglio parlare di questa triste vicenda in maniera costruttiva – spiega la Noto – per far prendere coscienza che per le persone diverse c’è pochissimo, vengano allontanati e poi quando succedono i drammi ci chiediamo il perché. Ma quando sono in vita non ci si pone il problema”.
“L’atteggiamento di Paolo – ricorda – era molto libero. Al contrario di altri che con le stesse problematiche si nascondono, lui era dichiarato. Vestiva a volte da donna, non era solo una questione di omosessualità, voleva essere donna a tutti gli effetti”. Quello che è successo secondo Rita Noto che già in precedenza aveva avuto l’incarico dal Tribunale dei minori di Caltanissetta di occuparsi di Loredana “non è una colpa di qualcuno, è un discorso di società. Non è stato accettato dalla comunità in maniera adeguata. Prima – ricorda – andava a scuola a Giarre ma piano piano si è allontanato perché non trovava l’accoglienza adeguata e si è avvicinato a ragazzi con le sue problematiche e così persone con interessi speculativi lo hanno avvicinato. Tutti abbiamo colpe di questa situazione”. Parlando dei 17 ragazzi extracomunitari ospitati nella comunità ‘Alice’ l’assistente sociale che aveva avuto incarico dal tribunale di occuparsi di Loredana dice che “quei ragazzi sono molto più educati dei nostri problematici. Loro, non erano problematici. Si trovano lì perché sono andati via dalla propria terra per cercare fortuna. Era una situazione più serena rispetto a una comunità maschile di ragazzi nostri”.
Parlando di quanto fatto dall’ArciGay dice “ci sono stati vicini. Anche loro si sono adoperati a cercare strutture ma non c’era nulla”. “Gli interventi che andavano fatti – riprende – sono stati fatti ma in Italia non ci sono strutture:le uniche comunità che mi ascoltavano erano quelle per tossicodipendenti. Ma non era quello il principale problema di Paolo”. Rita Noto dice poi di essere stata anche in contatto con l’associazione “Papa Giovanni XXIII” .
“L’abbiamo mandato in un centro di prima accoglienza vicino Latina dove c’erano delle donne africane e l’abbiamo inserito ma è scappato dopo 2 giorni”. Era una tragedia prevedibile? “Sugli adolescenti le certezze non ci sono. Sono sempre imprevedibili, sono molto fragili i ragazzini. Se era prevedibile nessuno può rispondere”.


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