Caro Ministro Poletti, venerdì ero tra il pubblico del convegno sull’impresa sociale e mi ha fatto molto piacere ascoltarla. In particolare, ho apprezzato il suo intervento a favore del risparmio consapevole, che è giustamente una delle colonna portanti di uno sviluppo economico che sia socialmente sostenibile. I padri costituenti non a caso avevano inserito la protezione del risparmio tra i principi della nostra Carta costituzionale.
Purtroppo, il divario informativo tra risparmiatore e intermediari è troppo elevato perché l’obiettivo della consapevolezza possa essere conseguito solo attraverso l’educazione o la “trasparenza” dell’informazione finanziaria. L’irrisolto conflitto d’interessi insito nei servizi di investimento, in particolare nella consulenza e nella gestione del risparmio, è stato troppo a lungo tollerato dalle autorità italiane e i risultati purtroppo si vedono.
Oggi, su Plus, l’inserto settimanale del Sole 24 Ore, è stato pubblicato un report sconvolgente sui costi dei fondi comuni (italiani e lussemburghesi) commercializzati in Italia (si veda qui). Gli oneri sul patrimonio gestito hanno raggiunto il valore medio di 1,54%, il massimo mai registrato da quando Plus ha iniziato le rilevazioni. Il trend al rialzo è inequivocabile ed è stato costante. Una volta anche Assogestioni pubblicava ogni anno il dato delle commissioni medie di gestione. Dal 2006 non le pubblica più. La cosa è assurda perché l’industria dell’asset management gode di economie di scala spaventose e quindi con il passare del tempo, con l’avanzare delle tecnologie informatiche e l’aumentare delle masse in gestione si dovrebbe assistere al fenomeno inverso, cioè ad un continuo abbassamento dei costi di produzione e quindi, a parità di mark-up, di riduzione dei costi finali per il cliente.
Per capire cosa vuol dire per il povero risparmiatore italiano sopportare 1,54% di costo, bastano questi dati: il rendimento di una obbligazione tedesca a 10 anni è poco più di 1,5%; il dividendo medio sull’S6P500 è 1,9%; un BTP a 5 anni rende il 2,14%. Ovviamente, i dati sono al lordo dell’imposta sostitutiva e dell’imposta di bollo sui depositi. Come si può facilmente capire, il risparmiatore italiano è sottoposto ad una forma di “predatory pricing”. Da notare che le commissioni in Italia sono tra le più alte del mondo occidentale.
Perché succede questo? Nello stesso report, i giornalisti di Plus fanno notare che “sui circa 1,7 miliardi di euro incassati alla voce commissioni di gestione, i gestori ne hanno retrocesso oltre 1,1 miliardi ai collocatori (ndr alle banche) che spesso coincidono con la loro struttura proprietaria”.
Quindi, di questo 1,54% di costo, ben il 67,5% è dovuto alla fetta che le banche italiane pretendono per mettere a disposizione il risparmio dei loro clienti. Se pensiamo che oramai la maggior parte dei nuovi fondi sono estero-vestiti e che alle banche proprietarie conviene fiscalmente tenere una parte dei guadagni in Lussemburgo, la percentuale che rimane nelle mani del distributore è ancora più elevata.
Se venisse scisso il rapporto incestuoso tra banche italiane (distributori) e sgr (produttori), se ne avvantaggerebbero i risparmiatori italiani, il fisco italiano e il sistema economico italiano.
Come si fa ? Evitando qualunque rapporto di retrocessione, sia esplicito sia implicito (ad esempio i dividendi), tra produttori e distributori. Questo vale già per i servizi di gestione patrimoniale, ma non vale per il collocamento diretto.
E’ possibile farlo? Si, l’Inghilterra lo ha fatto l’anno scorso e …. le commissioni pare si siano magicamente dimezzate nel giro di pochi mesi! E il percorso è ancora lungo. Basti pensare al costo degli ETF, lo strumento preferito da Warren Buffet e dai premi Nobel dell’economia, che battono regolarmente la maggior parte dei fondi comuni “attivi”.
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