Non profit

Ministro Passera, di quali start up ha bisogno l’Italia?

di Riccardo Bonacina

Il ministro Passera tranquillizza tutti di fronte a un dato devastante come quello del calo della produzione industriale, che a febbraio segna un -6,8%, e spiega: «Erano dati attesi. È proprio per questo che bisogna accelerare gli sforzi per uscire dalla recessione, abbiamo il vento contro ma modificare la direzione della nave è doveroso e possibile». Già, ma come parlare di crescita in piena recessione senza risultare patetici? E che sforzi mettere in campo dopo quasi sei mesi in cui il governo non ha trovato altra soluzione che tassare? Facilitando la creazione di nuove imprese, risponde il ministro dello Sviluppo economico. Da qui l’annunciato provvedimento “Start up Italia” che potrebbe arrivare al traguardo entro l’estate sotto forma di decreto legge.
Per ora, è stata insediata una commissione di 12 esperti, inizio un po’ timido a dire il vero. Dovrebbe studiare le semplificazioni amministrative e burocratiche, incentivi fiscali, misure di sostegno all’internazionalizzazione delle aziende più innovative ed anche la detassazione delle operazioni d’investimento. E, dettaglio importante, i confini del suo campo di azione.
Di fronte alle prime proteste sollevate all’annuncio della commissione “Start up” presentata come digital oriented, visti anche i profili dei “12 apostoli delle start up”, Passera ha subito precisato che «meritano altrettanta considerazione le start up del settore biotech, quelle legate a temi energetici-ambientali, le start up sociali e quelle legate all’industria culturale». È già qualcosa. Ma è davvero poco, pochissimo, giacché la casa brucia e le sofferenze degli italiani aumentano e 12 esperti cooptati dai circoli della web economy paiono un po’ fuori focus rispetto alla scommessa che abbiamo davanti: quella del passaggio dalla “ego economy”, quella delle stock option e dei profitti per pochi, alla “weconomy”, ovvero l’economia del noi e dei beni della comunità.
La timida iniziativa di Passera è come se saltasse una volta di più la realtà stessa di questo Paese, la sua natura e la sua energia. Come ha detto Richard Sennett sul numero scorso di Vita, «c’è un valore culturale forte nella cooperazione, nell’auto-aiuto, nel mutualismo, nella solidarietà informale della famiglia o tra le generazioni. Tutte cose che in Italia hanno una tradizione antica e vitale. Una tradizione che parla però già il linguaggio del nostro futuro. Perché cooperare è il futuro. Non ci si salva da soli, questo spiegatelo a Mario Monti e ai suoi».
Un’ultima cosa vorremmo suggerire al ministro Passera: di allinearsi a ciò che l’Europa chiede non solo su pensioni e lavoro, ma anche sullo sviluppo possibile, in particolare ci riferiamo al Single Market Act che il commissario europeo con delega al Mercato interno, Michel Barnier ha promosso e l’Ue adottato e che contiene 50 proposte per rinnovare il mercato interno offrendo più spazio a «un’economia sociale di mercato».
Tre le proposte fondamentali. In primo luogo, un’iniziativa speciale per l’imprenditoria sociale che permetta di liberare le riserve di talenti e di risorse finanziarie esistenti negli Stati membri, riconciliando i professionisti della gestione e del finanziamento con gli imprenditori portatori di progetti innovativi sul piano sociale e portatori di crescita.
Il secondo obiettivo si propone di «migliorare il panorama giuridico nel quale si struttura una parte dell’economia sociale». Altro tema su cui il silenzio del governo è assordante.
La terza e ultima proposta è legata alla «governance e alla responsabilità sociale d’impresa che deve ridefinire il ruolo dell’impresa nell’economia contemporanea, con l’obiettivo di migliorare la trasparenza, in particolar modo nel campo dei diritti umani e dello sviluppo sostenibile». Altra fondamentale pista di lavoro.
Ma l’Europa construens per il governo Monti, ad altri richiami così attento, pare debba ancora aspettare.

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