Economia

Ministro Martina, la Carta impone fatti non parole

di Marcello Esposito

E’ difficile capire se, per i potenti che passano per Expo, la firma della Carta di Milano rappresenti solo un evento glamour, utile per scattare foto e darsi una rinfrescata “green”. Ancora più difficile è capire se almeno Renzi e i suoi ministri la abbiano letta e fatta propria. Non solo nelle parti più facili, quelle dell’educazione alimentare personale. Ma anche in quelle più impegnative per un uomo di potere, ovvero il rispetto dei lavoratori delle campagne. L’intervista rilasciata oggi dal ministro Martina a La Repubblica conferma purtroppo i dubbi che sono emersi nel corso del Vita Open Forum “La Banalità del Bene” del 22 giugno scorso.
L’intervista trae spunto dalla vergognosa vicenda della bracciante Paola Clemente, morta nei campi per la fatica e pagata due euro all’ora. E affronta il problema del capolarato.
Il capolarato non è un fenomeno oscuro che nasce dalla Finanza cattiva. Non è un prodotto della globalizzazione. Non è in altre parole qualcosa di misterioso, di difficile da capire e da controllare per uno stato sovrano. Se ne parlava sui libri di scuola prima che il ministro Martina nascesse. E se ne è parlato ampiamente nelle trasmissioni televisive di denuncia, anche nei due anni del governo Renzi.
Ci si aspetterebbe quindi da un ministro che vengano snocciolati dati e cifre su controlli effettuati, persone arrestate, imprese multate, strutture di polizia rafforzate … Niente di tutto questo, l’intervista inizia buttando la palla in tribuna con il solito trucco retorico che viene usato in Italia dai tempi delle grida di Manzoni: “il capolarato è come la mafia”. Ci mancava solo la sparata sul “Daspo a vita” e l’entrée sarebbe stata perfetta.
Ma come si combatte il capolarato? “Serve prima di tutto una mobilitazione che coinvolga tutti … bisogna rompere il muro di gomma, l’omertà, la paura”. Certo signor ministro, parole sante, ma lei non è un attivista politico o un sindacalista. Lei fa parte dell’Esecutivo di un paese del G7. Per capire cosa succede nei campi e rompere il muro dell’omertà, basta mandare qualche ispettore del lavoro o qualche pattuglia della guardia di finanza a farsi un giro nelle campagne. La raccolta dei pomodori non è come la raffinazione dell’eroina. Avviene all’aria aperta e alla luce del sole con migliaia di persone impegnate dalle 6 del mattino alle 7 di sera, tutti i giorni.
Cosa c’è di meglio per vincere la paura, caro ministro, del sentire le forze delle istituzioni e dello Stato al proprio fianco? Perché, al posto di farsi vedere in televisione all’Expo un giorno sì e uno no, non prende un bel paio di scarpe robuste, un cappellino per difendersi dal sole e si fa un giretto per le campagne dove in questi giorni si sta lavorando di lena?

PS se nel frattempo mi spiega il significato della “Rete del lavoro agricolo di qualità”, le sarei grato. Perché le ricordo che il compito di uno Stato è quello di salvaguardare tutti i lavoratori, non solo quelli che hanno la fortuna di essere assunti da un’azienda civile e responsabile. E lei, come ministro, non può pensare che a cavarle le castagne dal fuoco ci pensino i consumatori o i supermercati. TUTTI I PRODOTTI AGRICOLI ITALIANI devono essere prodotti da lavoratori trattati in maniera degna di un paese civile. Lei rappresenta lo Stato, non un’associazione di volontariato. Lei ha doveri diversi da quelli di un comune cittadino.

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