Alle Giornate di Bertinoro si attendeva il Ministro Enrico Giovannini. Non è venuto, perché aveva altri impegni irrinunciabili, ma non dubitiamo che come altri anni ci avrebbe tenuto ad esserci e avrebbe dato letture interessanti stavolta “da dentro” la politica che conta.
Lo ha citato Chiara Saraceno, mente sempre più lucida, libera e meno “statalista” del passato nell’analizzare il welfare.
“La volontà del ministro Giovannini di inserire una sorta di reddito minimo per i poveri ci colpisce”.
Colpisce perché in Italia è la prima volta che accade. Non si chiama reddito minimo perché, come ha ricordato ironicamente Saraceno, in Italia nominare la parola reddito minimo è vietato, figuriamoci poi se è per i poveri. Non si può, siamo un Paese in cui ogni buona idea, peraltro diffusa in tutta Europa, viene inghiottita e frantumata da un livello culturale infimo di cui i grandi media, diciamolo una volta tanto, sono colpevoli complici.
Quindi si chiamerà “Sostegno per l’inclusione attiva”, ma fa niente. È un esperimento interessante che può iniziare un’opera di ribaltamento delle politiche di welfare sempre più urgente. Basterebbe che la politica si svegliasse e non si auto-inchiodasse in dibattiti sterili in cui scannarsi su tutto per non cambiare niente.
Il Sia, se ci saranno i soldi, verrà sperimentato e supererà un approccio, quello della social card, di cui il terzo settore ha sempre celebrato il bicchiere poco pieno. Meglio che niente anche la social card, ma la sua efficacia e opportunità, diciamolo anche questo, è discutibilissima.
Vedremo se il governo nella Legge di stabilità inserirà il finanziamento del Sia e se il Parlamento approverà. Le priorità effettive del governo Letta si misureranno anche da questo.
Intanto, Ministro Giovannini, ci faccia sognare almeno lei che qualcosa inizi a cambiare nel welfare italiano.
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