Governo

Ministro Giorgetti, togliamo il tetto al 5 per mille

Maria Chiara Gadda (IV) ha presentato una interrogazione parlamentare sullo sforamento del tetto del 5 per mille, chiedendo al ministro Giorgetti di eliminare o quantomeno innalzare il tetto per le prossime edizioni. Negli ultimi sette anni sono già 52,3 i milioni che lo Stato ha trattenuto, a cui vanno aggiunti almeno una ventina di milioni destinati dagli italiani nell'edizione 2023

di Sara De Carli

Giancarlo Giorgetti, ministro dell'Economia

È dell’onorevole Maria Chiara Gadda la prima interrogazione parlamentare sullo sforamento del tetto del 5 per mille. Depositata il 9 luglio 2024, con le firme di Maria Chiara Gadda, Davide Faraone e Isabella De Monte, tutti deputati di Italia Viva, l’interrogazione si rivolge al Ministro dell’Economia e delle finanze, a cui chiede risposta immediata in Assemblea, per sapere «quali iniziative intende adottare al fine di garantire l’integrale erogazione delle risorse destinate dai contribuenti con il 5 per mille agli enti beneficiari per l’anno 2023 e se non ritenga necessario eliminare o, quantomeno, innalzare il tetto massimo previsto dalla normativa vigente anche per le successiveannualità, al fine di rispettare la volontà dei cittadini e salvaguardare uno strumento fondamentaleper sostenere la continuità di realtà essenziali per la comunità e il Paese».

Le premesse

Le premesse dell’interrogazione sono quelle che su VITA abbiamo già presentato: introdotto in via sperimentale nel 2006 dal ministro Giulio Tremonti e reso strutturale nel 2015 dal governo di Matteo Renzi, il 5 per mille è uno strumento «fondamentale sia per garantire sostegno economico a enti che perseguono direttamente finalità di interesse generale sia per promuovere tra i cittadini il senso di partecipazione civica e di solidarietà sociale, permettendo agli stessi di supportare direttamente realtà senza scopo di lucro con finalità di utilità sociale in cui essi si riconoscono». Non per nulla, nella campagna “5 per mille, il cambiamento nelle tue mani”, le cinque parole che abbiamo scelto per parlare del 5 per mille sono gratuità, engagement, impatto, fiducia e democrazia (ne parlano qui Ivo Lizzola, Ivana Pais, Paolo Venturi, Luigi Bobba e Anna Lisa Mandorino).

Ad oggi la legge prevede un tetto massimo di risorse che, a prescindere dalle scelte dei contribuenti, può essere destinato al 5 per mille: 525 milioni di euro. Superata quella soglia, le risorse eccedenti teoricamente destinate dai cittadini con le loro firme vengono ripartite tra le realtà prescelte, in maniera proporzionale alle firme ottenute. Il 5 per mille, in tal modo, non è più un vero 5 per mille dell’Irpef ma qualcosa meno. Con il 5 per mille 2022 per esempio gli italiani hanno destinato più di 529,3 milioni di euro ad enti impegnati in attività di interesse comune: 4,3 milioni sopra il tetto. 

Con il 5 per mille 2023 il tetto è sempre di 525 milioni di euro ma i contribuenti che hanno messo la loro firma sono stati 17.249.982, circa 731.000 in più rispetto al 2022: lo sforamento del tetto quindi sicuramente c’è e sicuramente è maggiore rispetto a quello dell’anno prima. La stima è che sia superiore ai 20 milioni di euro, ipoteticamente tra i 20 e i 30 milioni: i conti a spanne sono presto fatti, l’importo medio del 5 per mille l’anno scorso ammontava a 31,78 euro e abbiamo 730mila firme in più).


Le conseguenze? Un 5 per mille che non è tale

«In assenza di interventi, decine di milioni di euro che i contribuenti hanno destinato ad enti non profit specificamente individuati non verranno erogati, con grave pregiudizio per le volontà espresse dai cittadini e per gli enti beneficiari», afferma l’interrogazione dell’onorevole Gadda. Il primo e più grave danno quindi è nel “patto” fra lo Stato e i cittadini.

D’altra parte c’è anche un danno per gli enti non profit, che, prosegue l’interrogazione, «rappresentano un modello stabile di sviluppo economico, e svolgono un ruolo cruciale per rafforzare un tessuto sociale messo a dura prova da anni di crisi economiche, sanitarie e sociali e il loro integrale finanziamento – attraverso il pieno rispetto della volontà dei contribuenti – rappresenta una via obbligata anche alla luce dei principi di sussidiarietà e di solidarietà sociale al cui rispetto la Costituzione chiama la stessa Repubblica».

I precedenti

La legge di stabilità per il 2011 portò la copertura del 5 per mille da 400 milioni a soli 100 milioni e il non profit, con VITA in testa, scese in piazza con una protesta scenografica per denunciare quella scelta: «Ci avete lasciato in mutande». Tra il 2010 e il 2013 le cifre stanziate a copertura del 5 per mille furono sempre insufficienti a coprire quanto gli italiani avevano in realtà destinato: lo scippo da parte dello Stato in quegli anni ammonta complessivamente a circa 310 milioni di euro. Con la legge di stabilità 2015 il 5 per mille viene stabilizzato e il problema del tetto sembra risolto grazie a una copertura fissata a 500 milioni.

52,3 milioni più (almeno) altri venti: la cifra che lo Stato non ha erogato negli ultimi sette anni

Negli anni però il 5 per mille continua a crescere e così già nel 2019 torna ad esplodere la questione del tetto. «Dal 2016 il volume finanziario delle scelte effettuate dai contribuenti è sempre stato maggiore rispetto al tetto previsto», ammetteva nel giugno 2022 Wladimiro Boccali, consulente del ministro Andrea Orlandi. Tra il 2017 e il 2020, lo “scippo” ammonta a 48 milioni di euro. Ecco quindi che la finanziaria per il 2020 autorizzava una spesa di 510 milioni per l’anno fiscale 2020, 520 milioni per il 2021 e 525 milioni a decorrere dal 2022. Nel 2019 i contribuenti destinarono al 5 per mille 23 milioni in più rispetto ai 510 milioni stanziati a copertura, portando il valore reale del 5 per mille a 533 milioni. L’anno dopo il gap fu di “soli” 3 milioni in eccesso rispetto ai 520 milioni del tetto. Nel 2021 calarono le firme e per la prima volta da anni le scelte degli italiani furono integralmente rispettate: furono destinati 508 milioni. Nel 2022 il tetto dei 525 milioni fu sforato di 4,3 milioni. Già così fanno 52,3 milioni a cui vanno aggiunti almeno una ventina di milioni destinati dagli italiani nell’edizione 2023, che però lo Stato tratterrà. È tempo di togliere il tetto.

Foto Stefano Carofei/Sintesi

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