Welfare

Ministro di ingiustizia difenditi

Lo accusano di voler sostituire lo stato sociale con uno stato di polizia. Di aver diffuso dati faziosi che smantellano tante conquiste civili.

di Cristina Giudici

Quando è arrivato al ministero di Grazia e Giustizia, ha proposto l’abolizione dell’ergastolo, ma nel giro di pochi mesi ha cacciato tutti i garantisti in circolazione. Ha affermato di avere un programma «coraggiosamente riformatore», ma poi ha istituito l’intelligence delle carceri, l’Ugap, e ha fatto comprare migliaia di caschi e scudi per i reparti antisommossa. Infine, davanti a un dibattito grottesco sui mali della giustizia di mezza estate, si è gettato nella mischia buttando benzina sul fuoco e anticipando i dati di uno studio sull’efficacia delle condanne per dimostrare che nel nostro Paese vige l’impunità. È sempre lui, il guardasigilli, Oliviero Diliberto, che a quasi un anno dal suo insediamento risale sul banco degli accusati. Così, dopo gli assistenti sociali che, attraverso questo giornale, il luglio scorso avevano accusato il ministro di voler sostituire lo stato sociale con lo stato di polizia, è arrivato anche il turno dei politici. «È malato di entrismo», attacca Tiziana Maiolo, parlamentare di Forza Italia. «Parla poco e agisce molto. Piazza tutti i suoi uomini nei posti giusti perché è un uomo di potere, ma non ha un piano complessivo e coerente sulla giustizia. Sembra l’uomo del dialogo, ma in realtà è un “nemico” perché, anche se sembra riformista e garantista, sin dall’inizio ha adottato una politica conservatrice, staliniana. Perciò credo che in questa legislatura non ci sarà nessuna riforma della giustizia. Così sul carcere, così sul giusto processo». In seguito alla pubblicazione dei dati del Casellario centrale, secondo cui dal 1990 al 1997 quasi un milione di condannati hanno evitato le patrie galere, il presidente del Tribunale di sorveglianza di Torino, Mario Vaudano, ha proposto di eliminare due gradi di giudizio e di tornare alla legge del taglione, facendo decidere alle vittime dei reati se concedere o meno i benefici di legge o le misure alternative ai detenuti. Il procuratore Gerardo D’Ambrosio si è affrettato a intervenire chiedendo «condanne subito», mentre tutti i politici dalle loro residenze estive si sono immersi in un dibattito insensato sull’effetto placebo del braccialetto elettronico per i detenuti agli arresti domiciliari. «È assurdo», aggiunge la Maiolo, «che ci si affidi a un braccialetto elettronico per affrontare il marasma della giustizia. Schizofrenie da potere L’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo per la lunghezza dei processi, la stortura del sistema è arrivata al punto tale che gli imputati finiscono in carcere prima del processo e stanno fuori quando invece vengono giudicati colpevoli. No, dobbiamo affrontare i nodi della giustizia in maniera seria, abrogando prima di tutto l’obbligatorietà dell’azione penale e riservando i processi ai reati gravi perché in carcere ci sono troppe persone condannate per motivi futili. Il 50% dei detenuti in attesa di giudizio vengono assolti in secondo o terzo grado, ma intanto scontano sempre almeno due o tre anni di galera». Alessandro Margara, licenziato nel marzo del 1999 dal guardasigilli, si era indirizzato così al ministro in una lettera: «Mi conforti e mi dica che c’è di mezzo un po’ di politica, di quella cattiva politica che mira ad avere galere fiammanti piene di delinquenti di tutte le dimensioni». Oggi il deputato verde, Paolo Cento, accusa di Diliberto di schizofrenia e afferma: «È vero, il guardasigilli è forcaiolo: prima licenzia Alessandro Margara mentre sta cercando di realizzare una politica seriamente garantista e poi delega alla polizia penitenziaria un super ruolo di tutore della legalità. Dimenticandosi degli assistenti sociali che si ammazzano ogni giorno per garantire il funzionamento delle misure alternative e soprattutto dimenticandosi che i detenuti in misura alternativa che delinquono rappresentano soltanto l’1%. Nel nostro sistema politico», conclude Cento, «non esiste un polo veramente garantista. Gli stessi deputati che vorrebbero la revisione del processo Sofri, attaccano la legge Simeone e gli stessi deputati che vorrebbero il braccialetto elettronico chiedono maggiori garanzie nei processi. Magari solo nella speranza di salvare Cesare Previti. Non si tratta solo di Diliberto: tutto il sistema è schizofrenico. Bisogna finalmente riformare seriamente il rapporto fra cittadini e Stato. Questa è la vera questione penale». Troppi i problemi mai affrontati Ma la vera vittima del dibattito sulla giustizia è ancora una volta il sistema penitenziario, come sempre elevato a panacea di tutti i mali. Luigi Pagano, direttore di san Vittore, che da anni si batte perché il carcere venga usato con estrema ratio, afferma: «il problema della giustizia viene affrontato in modo esasperato. Non da oggi, o da quando si è insediato il ministro di Grazia e Giustizia, ma da sempre. Da vent’anni si oscilla fra giustizialismo e garantismo. Si chiudono e si aprono le celle, ma non si affrontano mai i problemi nelle sedi più opportune. Non capisco perché ci si debba scandalizzare davanti all’eventualità di un controllo elettronico in nome della difesa della dignità e della privacy dei detenuti. Forse è meglio lasciarli dormire per terra, in una cella umida, con sei-sette persone?» Ma intanto secondo i dati del ministero i criminali stanno fuori, dottor Pagano. «Non è vero, si confondono le pene detentive con quelle alternative: essere affidati ai servizi sociali non significa evitare il carcere, ma scontare la pena in modo differente e spesso più efficace. Il carcere, e soprattutto la detenzione cautelare, va utilizzato con molta moderazione. Non è vero che non esiste la certezza della pena perché se 30 mila persone, che godono dei benefici di legge fuori dal carcere, non commettono reati, allora vuol dire che la pena può essere scontata in altro modo». Marco Boato, uno dei relatori delle riforme (affondate) sulla giustizia in Bicamerale interpreta così il dibattito insensato di questi giorni: «Ogni agosto, si riempiono le pagine dei quotidiani con nuove polemiche sulla giustizia in forma pretestuosa e strumentale. Nel 1997, dopo la chiusura dei lavori della bicamerale, si discuteva, anche se in modo tendenzioso, su temi di grossa rilevanza costituzionale come il ruolo della magistratura, la separazione della carriere, il ruolo del Csm, l’obbligatorietà dell’azione penale. L’anno scorso, in seguito al suicidio del giudice Lombardini, il dibattito si è centrato sulla necessità di fare delle riforme attraverso le leggi ordinarie, prendendo una scorciatoia. Quest’anno si è arrivati al punto di dibattere del braccialetto elettronico. Siamo alla frutta. Il collasso della giustizia necessita di una diagnosi, una prognosi e una terapia. Non di dibattiti frustranti e semplicistici». Allora facciamo il bilancio di quasi un anno di Diliberto? «Preferisco sospendere ogni giudizio. Le posso solo dire che, anche se siamo di fronte all’eventualità del collasso della giustizia, bisogna riconoscere che qualche riforma è stata avviata, come per esempio quella del giudice unico». Ma allora perché i magistrati intervengono dicendo tutto e il contrario di tutto, da Mario Vaudano al procuratore di Milano? «Perché è l’anomalia italiana: il ministero di Grazia e Giustizia è interamente composto da magistrati. I magistrati interlocuiscono continuamente con i politici, scrivono le proposte di legge e criticano le leggi avanzate dai parlamentari. Insomma la politica sulla giustizia in Italia è fatta da magistrati. Non è aberrante?» Oliviero, un anno da dimenticare Frasi di garanzia. All’atto della nomina, il ministro di Grazia e Giustizia, Oliviero Diliberto, aveva presentato il suo programma definendolo «di matrice coraggiosamente riformatrice». Abolizione dell’ergastolo, affettività e sesso in carcere, lavoro per i detenuti, pene alternative. Il 4 gennaio ’99 il ministro ha ribadito la necessità di una coerente e certa applicazione della legge Gozzini. Il 3 marzo ha espresso grande soddisfazione per l’approvazione del ddl sulla depenalizzazione dei reati minori. Il culmine di apertura il 23 novembre ’98, quando ha dichiarato di tenere in massima considerazione la necessità dei detenuti musulmani di mangiare dopo il tramonto in periodo di Ramadan. Atti di “giustizia”. Il Primo maggio, trascorso in allegria alla festa del Sappe, il sindacato corporativo di Polizia penitenziaria, ha definitivamente dato del ministro Diliberto un’immagine di “uomo forte” della giustizia. Il suo carcere conta infatti solo tre psicologi su 258 istituti di pena, un numero sparuto di educatori a fronte di oltre 40 mila poliziotti e una costante disattenzione alle richieste degli assistenti sociali. Il 16 febbraio ’99 il Guardasigilli istituisce per decreto l’Ugap, Ufficio per la garanzia penitenziaria, alla cui direzione nomina il generale Enrico Ragosa, famoso per il suo lavoro di “normalizzazione” nelle carceri.


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