Non profit

Milleproroghe: e se saltasse tutto?

Dopo le osservazioni di Napolitano, la norma in bilico. A rischio: 5 per mille, tariffe ed Eas

di Giulio Leben

E se il Milleproroghe non diventasse legge? Quali sarebbero le conseguenze per il non profit? Di questo tempi il terzo settore rischia di abituarsi alle cattive notizie, ma a tutto c’è un limite, dicunt. E invece: tre sono i provvedimenti a favore del non profit che salterebbero danneggiando così milioni di volontari, cooperanti e operatori.

Si tratta del 5 per mille (sparirebbe), delle tariffe postali agevolate: senza la proroga presente nel testo a rischio, il decreto che le reintroduce con un tetto di 30 milioni pubblicato in Gazzetta Ufficiale due giorni fa diventa carta straccia; e infine la proroga del modello EAS salterebbe, non sarebbe più valido cioè il termine del 31 marzo 2011 per la presentazione del modello EAS ex art 30 DL 185/08. Cosa fare o cosa non fare a questo punto? Intanto è possibile capire meglio quali sono i termini del problema.

Facciamo dunque un passo indietro. La parola d’ordine che gira oggi fra banchi del Parlamento (e da mesi nel Paese) è «impasse». Quando vogliono venir meno alla rinomata eleganza i francesi lo chiamano pure «cul-de-sac» («il culo di un sacco»), ovvero una strada senza via d’uscita, una situazione ingarbugliata, al secolo: uno stallo. Ed è questa la poco nobile condizione in cui si trova attualmente il testo del Milleproproghe. Le cui conseguenze potrebbero essere a dir poco nefaste e non solo per il non profit.

Ma è probabile che il governo presenti al più presto una nuova norma, un maxiemendamento, che riproponga il testo originario del decreto. Sarebbe infatti questa l’unica soluzione per uscire dall’impasse – appunto – creata dopo la lettera del Capo dello Stato nella quale si sostiene che l’attuale Milleproroghe sarebbe diventato al Senato una sorta di nuova finanziaria.

Di fatto il decreto legge del Consiglio dei ministri volto a prorogare o risolvere disposizioni urgenti entro la fine dell’anno 2010 – detto anche in gergo giornalistico “Milleproproghe” – deve essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni dalla sua pubblicazione, come per altro qualsiasi decreto legge.

Questa volta la scadenza è fissata al 27 febbraio. Fra 4 giorni. Data oltre la quale il decreto legge decade o il governo (più probabilmente) emana un nuovo decreto legge, che riproduce senza o con minime variazioni quello precedente per garantirsi altri 60 giorni di tempo per la definitiva conversione. Questo procedimento si chiama “reiterazione”, ma politici e giuristi sanno pure che si tratta di una forzatura politica, diventata nel tempo consuetudine tollerata.

Ed è infine quest’ultima, in realtà, l’ipotesi su cui il governo sta probabilmente lavorando in seguito alle osservazioni espresse dal Capo dello Stato, Giorgio Napolitano che, come sintetizza Carlo Mazzini su quinonprofit.it, ha rilevato come «il Milleproroghe, così come è stato modificato al Senato ha profili di incostituzionalità, in quanto ad esempio introduce – e non potrebbe – nuove tasse. E più in generale assomiglia ad una finanziaria in sedicesimi».

Ultima soluzione per risolvere il pasticcio istituzionale, l’ormai ben noto «cul-de-sac», in cui si è infilato il Milleproproghe è forse quella suggerita dallo stesso Giorgio Napolitano alla fine della sua missiva, ammettendo la possibilità che si approvi il testo così com’è e invitando a intervenire successivamente con norme interpretative. Il capo dello stato lo fa capire chiaramente: «Mi riservo altresì – si legge nella lettera del Quirinale – qualora non sia possibile procedere alla modifica del testo del disegno di legge approvato dal Senato, di suggerire l’opportunità di adottare successivamente possibili norme interpretative e correttive, qualora io ritenga, in ultima istanza, di procedere alla promulgazione della legge. Devo infine avvertire che, a fronte di casi analoghi, non potrò d’ora in avanti rinunciare ad avvalermi della facoltà di rinvio, anche alla luce dei rimedi che l’ordinamento prevede nella eventualità della decadenza di un decreto-legge, come ho sopra ricordato».

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