Non profit

Mille orti in rete: la ricetta di Slow Food

Parla Serena Milano della Fondazione per la biodiversità

di Emanuela Citterio

Nei mercati africani il riso thailandese e la frutta europea costano la metà di quella locale. «Un controsenso da cui bisogna uscire» Dai latifondi agli orti. Dall’agricoltura intensiva a quella su piccola scala che garantisce autonomia ai produttori locali. Dalle importazioni che creano dipendenza alla sostenibilità. Slow Food scommette sul continente più difficile, l’Africa, e sul cambiamento attraverso «piccoli progetti concreti e replicabili». A Terra Madre, l’associazione fondata da Carlin Petrini (e oggi presente in 163 Paesi) lancerà l’iniziativa «Mille orti in Africa», da realizzare in 20 Paesi del continente. A sud del Sahara esistono già presidi Slow Food che tutelano prodotti agricoli dal rischio di estinzione, 164 comunità che si ispirano ai principi dell’associazione, progetti e attività di educazione nelle scuole. A coordinare queste iniziative è Serena Milano, 39 anni, segretario generale della Fondazione Slow Food per la biodiversità. «Negli anni 60 e 70 i Paesi africani esportavano cereali e riso e ne producevano a sufficienza per il consumo interno» dice. «Ora importano l’80-90% di quanto consumano. Nei mercati, si trova riso thailandese e brasiliano, frutta e verdura europea che costa la metà di quella locale».
Vita: Qual è l’alternativa?
Serena Milano: Qualche tempo fa ci siamo posti il problema se un discorso come quello che stiamo facendo sulla qualità, sui prodotti di territorio avesse senso in un continente dove c’è il dramma della fame.
Vita: Quale la risposta?
Milano: È arrivata dopo il confronto con circa 700 contadini africani alla prima edizione di Terra Madre. Ascoltando i loro problemi ci siamo accorti che l’agricoltura famigliare di piccola scala che si basa sulla sostenibilità, la diversificazione e che promuove i prodotti e il consumo locale è forse l’unica alternativa al continuo aggravarsi del problema della fame e della perdita di diritti delle comunità. L’acquisizione massiccia delle terre da parte di multinazionali e governi stranieri, la perdita di autonomia degli agricoltori, la dipendenza sempre crescente dalle importazioni: l’Africa non è l’unico continente che ha a che fare con questi fenomeni. Ma lì sono un po’ più rapidi, gravi, drammatici che altrove. Un settore in crisi di cui si parla poco è quello della pesca. Dopo aver devastato i mari del Nord e il Mediterraneo, ora la pesca industriale si è spostata in modo massiccio nei mari africani perché non ci sono regole, o è abbastanza facile aggirarle. In un continente dove 9 milioni di persone vivono di piccola pesca costiera, i pescherecci industriali che arrivano dall’Europa e dall’Asia stanno mettendo a rischio una delle risorse di base di milioni di persone.
Vita: Cosa fa Slow Food?
Milano: Piccoli progetti concreti, e soprattutto replicabili. E lavoriamo su reti di soggetti. In Africa i contadini hanno problemi di tipo tecnico e economico, ma uno dei principali è l’isolamento. Noi cerchiamo di romperlo attraverso la rete internazionale: le dieci donne che allevano polli in Kenya in questo momento sono aiutate da un gruppo di allevatori toscani. Non sono né docenti né grandi esperti ma le stanno aiutando a risolvere problemi importanti e molto concreti. In Mauritania sosteniamo un altro gruppo di donne che produce la bottarga. Prima lavoravano sulla sabbia e mettevano a essiccare la bottarga su lamiera arrugginita. Ora hanno un laboratorio a norma.
Vita: Perché gli orti?
Milano: L’orto è un laboratorio ideale. Si riesce a fare lavoro di comunità e intergenerazionale, a far collaborare gruppi sociali diversi. Non consegniamo un kit con le sementi e i fertilizzanti per fare l’orto. Aiutiamo invece i contadini a diventare autonomi e a recuperare le varietà locali, che sono più resistenti e hanno meno bisogno di input esterni.
Vita: Dove troverete le risorse per mille orti?
Milano: Il costo di un orto è 900 euro, una cifra abbordabile anche da privati. Un gruppo di amici ieri si è diviso la cifra. Slow Food Corea ha appena deciso di sostenerne 40. I progetti li stiamo finanziando così, con un fundraising diffuso.

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