Famiglia

Mille figli per l’ angelo biondo

Tanti sono i ragazzi che Barbara ha conquistato con le carezze e una zuppa strappandoli al tunnel della miseria, della droga e della prostituzione.

di Paolo Giovannelli

O cchi chiari che sembrano di ghiaccio. Capelli raccolti e biondi. Una pelle che il sole d?Africa non è ancora riuscito a scalfire. In Mozambico, Paese di recente uscito da una tremenda guerra civile, non penseresti mai di incontrare Barbara Hofmann. A Beira poi, sporca caotica città di circa 450 mila abitanti ripiena di disperati e indirettamente segnata dal conflitto. Cosa ci fa in un posto così – da ben undici anni – una donna dalle mani delicate, dall?aspetto e dai modi gentili ma fermi e manageriali? Per di più ginevrina, quindi figlia della migliore Svizzera che nelle sue strade e giardini, nelle sue banche e nelle sedi delle sue compagnie d?assicurazione si dedica quotidianamente alla pulizia, all?ordine, forse all?indifferenza e sicuramente alla sfrenata ricerca del successo personale? La risposta è sul sellino posteriore della motocicletta con cui Barbara attraversa in lungo e in largo Beira, alla ricerca di bambini e bambine di strada. Se si ha il coraggio di salirvi sopra e di ?piegare? con Barbara, allora Beira diventerà per voi una sorta di tunnel della più bassa miseria umana: bambini senza famiglia che si trascinano abbandonati, handicappati e poliomielitici, piccoli mendicanti e drogati di colla fino nel midollo, ladri e assassini solo per sopravvivere un altro giorno. L?immagine dell?infanzia di Beira che ci viene regalata da un sostenitore delle attività di Barbara, uno di quelli che sul sellino ci è salito davvero, è di una chiarezza sconcertante: «Di notte con il faro della moto perlustravamo i marciapiedi sconnessi», scrive nel suo diario. «Girato un angolo, eccoli: una ventina, alcuni sembravano non avere neanche sette anni».

La ?sopa?, zuppa di avanzi riciclati
Rannicchiati a terra, stretti uno all?altro, dormivano profondamente su pezzi di cartone lacero, coperti anche con buste di plastica, stracci carichi di sporcizia e di puzza di piscio. Tuttavia, è in particolare nelle discariche che decine e decine di bambini frugano tutto il giorno tra i rifiuti, raccogliendo tutto ciò che è riciclabile: cibo marcio, bottiglie, ferro e alluminio, fino alle più minuscole scaglie di legno per accendere il fuoco e magari cucinare. Sono i mille figli di Barbara: prima violenti, poi ?sconfitti? dalle carezze. A Beira, oggi, tutti parlano comunemente di ?figli di Barbara?. Sono oltre 1.000 i bambini (più di 350 bisognosi di tutto) ospiti nei due centri che Barbara ha attrezzato per accoglierli. In maggioranza sono maschi dai 5 ai 12 anni; poche le femmine, più ricercate dai ricchi come collaboratrici domestiche da sfruttare. All?inizio, per attirarne alcune decine, Barbara inventò il ?programa da sopa?: un ristorante del centro città donava gli avanzi della cucina, a volte arricchiti di ossa e tranci di lardo. Il tutto, mischiato in un enorme pentolone, veniva trasformato da Barbara Hofmann in una grande fumante zuppa calda, la ?sopa?, appunto. Ma, per aiutare ancor più l?infanzia di Beira, Barbara ha dovuto lottare duro, soprattutto contro la violenta mentalità che la strada aveva impresso nel codice comportamentale di questi giovanissimi: «Io li accarezzo tutti, perché tutti hanno una drammatica storia alle spalle: ne sono ancora segnanti sul viso e nell?animo», racconta Hofmann. «Nessuno di loro», continua, «capiva l?importanza delle regole per migliorare la propria stessa esistenza, visto che nessuno gliele aveva mai trasmesse. Per offrire loro un rifugio, un letto, un piatto caldo, la possibilità di cure mediche, di studio e di formazione professionale ho dovuto prima insegnargli a lavarsi, a mettersi in fila, ad attendere il turno per sfamarsi. Non è stato facile: all?inizio si picchiavano selvaggiamente per conquistare il cibo, poiché nessuno di loro poteva credere che ci sarebbe stato da mangiare per tutti senza combattere. Senza genitori, senza una guida, vessati e violentati continuamente dagli adulti nel fisico e nello spirito, avevano imparato a comportarsi spietatamente, in automatico, come famelici lupi nei confronti dei coetanei».
«È estremamente complicato», aggiunge Umberto Marin, un italiano cooperante che da anni lavora al fianco di Barbara, «reinserire questi ragazzi nel tessuto sociale. Più difficile è però provvedere al loro eventuale ricongiungimento familiare: grazie alla formazione lavorativa che ricevono nei nostri centri, specie nel settore dell?artigianato, le famiglie e alcuni pochi imprenditori ?illuminati?, sono in genere pronti ad accoglierli. Ma sono i ragazzi a non fidarsi, soprattutto dei genitori che li hanno abbandonati. Temono fortemente che, una volta fuori dai centri di Barbara, sia impossibile vivere un?esistenza normale e tranquilla».

Manga e Macurungo, i due ?miracoli?
Dopo molti chilometri percorsi in motocicletta a salvare bambini e anche dopo tante minacce ricevute da malviventi timorosi di perdere facile ?manodopera?, Barbara Hofmann ha fondato un?associazione in favore dell?infanzia mozambicana, l?Asem, che tira avanti grazie alle donazioni di ong e di privati. Anche il presidente della Repubblica del Mozambico, Alberto Joaquim Chissano (in carica dal 1986), dopo anni di dura indifferenza e di ingiustificata diffidenza verso l?attività di Hofmann, ha lo scorso anno visitato i due centri di Macurungo (costruito nell?84 con l?aiuto degli alpini italiani) e della Manga, dove ormai sono decine i collaboratori, in prevalenza mozambicani e stipendiati. La novità è che, tra breve, sarà lo stesso Stato mozambicano, infine convinto della necessità dell?opera di Hofmann, a pagare gli stipendi degli insegnanti dei due centri di accoglienza di Beira. La ?forza? di Barbara non appare sostenuta da una particolare fede religiosa. A squadrarla da cima a fondo, neanche un piccolo particolare del suo aspetto esteriore rimanda a quello che potrebbe essere di una missionaria. Eppure dentro di lei c?è una determinazione straordinaria. Infatti, a chi va a trovare i ?suoi figli? o a visitare i due centri di Macurungo e della Manga, ripete sempre queste parole: «Da sola non posso proprio nulla. Abbiamo bisogno anche di te per fare ogni più piccolo passo. Noi, qui, lavoriamo e confidiamo…».

L’associazione di Barbara

Il Mozambico è uscito recentemente da una guerra che sembrava infinita, che ha prodotto oltre 1 milione di morti, 1 milione e 700mila rifugiati, 4 milioni di sfollati. La nazione è fra le più giovani dell’intero continente africano: oltre il 45% dell’attuale popolazione del Paese, su un totale di 18 milioni di abitanti, è costituito da individui con età compresa fra 0 e 14 anni. 250mila sono i minori in condizioni di estremo disagio sociale: si tratta di orfani di guerra, poveri e senza casa che vivono nelle discariche, disabili, drogati, vittime di violenze sessuali e che sovente conoscono la dura esperienza di carceri crudeli. «Presto nascerà una sezione italiana dell’Asem», afferma Barbara Hofmann. Ma l’Associazione per i bambini del Mozambico (Asem) è già alla ricerca di ong partner italiane con cui collaborare per aiutare l’infanzia mozambicana. Finora ha trovato sostegno da parte della Fivol di cui usa il c/c bancario 90000/38 (Cab 03258, Abi 03002) presso la Banca di Roma (agenzia 114, via Nazionale 40, 00184 Roma, intestato a Fivol-Asem, con causale “Progetto Beira”. Il c/c postale è invece 36978005, intestato all’Asem Per informazioni: Tel: 06. 474811.

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