Non profit

Milano si apre all’amministrazione condivisa con il Terzo settore

Presentato il nuovo Regolamento che la prossima settimana sarà sottoposto al vaglio del Consiglio comunale. Due soggetti differenti, che spesso non riescono a dialogare in maniera proficua ma che perseguono le stesse finalità. Cambia il paradigma, ma il volontariato è chiamato a una svolta: uscire dalla logica del servizio per essere portatori di proposte

di Luigi Alfonso

Sussidiarietà, co-progettazione, co-programmazione, ascolto e dialogo. Parole sin troppo abusate negli ultimi decenni. Eppure sono al centro del nuovo Regolamento di amministrazione condivisa che il Comune di Milano sta lanciando. Oggi la presentazione ufficiale ha consentito di illustrare a circa duecento rappresentanti del Terzo settore locale i contenuti di una proposta che la prossima settimana passerà al vaglio del Consiglio comunale.

Amministrare insieme: dal welfare all’economia civile”: questo il titolo dell’incontro che si è tenuto stamane nel capoluogo lombardo tra istituzioni e rappresentanti del Terzo settore. Valerio Pedroni, presidente della Commissione speciale sull’economia civile e sullo sviluppo del Terzo settore, ha ricordato che «è l’esito del lavoro di molte persone, in cui i temi della co-programmazione e della co-progettazione, dell’accreditamento, della valorizzazione degli immobili demaniali, tutto ciò che a volte rischia di essere costruito in maniera un po’ estemporanea dagli uffici, diventa un regolamento di amministrazione condivisa che porta le firme di ben sei direttori di altrettanti assessorati. Con la visione che il Codice di Terzo settore aveva dato, gli enti locali hanno la responsabilità di metterlo a terra con dei regolamenti. Milano lo ha fatto, segnando un pezzo di strada molto importante. Sono le regole che diamo alla casa comune e non a un pezzo della casa».


«Questo non è un passaggio amministrativo, la scelta che abbiamo fatto ha un valore politico molto significativo», le parole di Lamberto Bertolè, assessore comunale al Welfare alla salute. «Vogliamo costruire un sistema di partenariato tra l’amministrazione comunale e gli enti del Terzo settore. Confesso che è stata grande la tentazione di firmare il documento e portarlo all’approvazione del Consiglio, ma non sarebbe stato il modo corretto e migliore per avviare questa riforma».

Per Angelo Stanghellini, direttore dell’Area diritti e inclusioni del Comune di Milano, «fondamentalmente è un regolamento che cerca di sostenere e promuovere la costruzione di spazi relazionali. Non è un regolamento per normare le relazioni soltanto sul piano giuridico, amministrativo e procedurale, piuttosto crea spazi, contesti, opportunità e occasioni di relazione tra diversi attori che, insieme, tentano di concorrere ad una funzione pubblica, la quale non è prerogativa esclusiva dell’ente pubblico. Ciò deve contribuire a creare alleanze tra diversi soggetti su degli oggetti di lavoro molto precisi: la dimensione del fare viene subito dopo la dimensione dell’incontrarsi, del riconoscersi, del valorizzarsi a vicenda. Fare per arrivare alle persone, cioè ai destinatari finali dei nostri servizi. Gli stessi enti del Terzo settore sono chiamati a dialogare tra di loro. Questo regolamento cerca di fondare un cambio di modello, da un approccio competitivo a un approccio selettivo ma non competitivo. I diversi attori devono ricomporsi e riaggregarsi. Tutte le realtà, anche le più piccole, perché sono anch’esse importanti nei microcontesti di vita delle persone. Tutto, naturalmente, deve passare dal reperimento delle risorse necessarie, senza le quali l’attivismo civico e il mondo del volontariato più strutturato non riescono ad arrivare a grandi obiettivi».

«Il progetto unitario diventa una sintesi del lavoro svolto dall’ente locale e dagli Ets, perché non è che il Comune decide e gli enti del Terzo settore attuano: questi ultimi non sono erogatori di servizi ma partner a tutti gli effetti», ha aggiunto Stanghellini. «Dovranno esserci, poi, partnership sempre più di durata medio-lunga per poter fare investimenti condivisi sull’oggetto di lavoro. Un altro elemento innovativo è il tema dell’utilizzo e della valorizzazione di immobili demaniali che vanno riqualificati. La sostenibilità dei progetti richiede un’adeguata disponibilità economica a sostegno degli stessi, ma sono previsti anche i co-finanziamenti perché rientrano nella logica della condivisione del progetto e il conseguente investimento. Non è, insomma, una fiche per partecipare al gioco. Infine, la semplificazione è fondamentale ma non deve mettere in discussione la rendicontazione e il rigore formale amministrativo. La valutazione dell’impatto sociale è un altro passaggio decisivo per il cambiamento degli interventi pubblici».

Un gruppo di lavoro all’interno del Comune di Milano, che coinvolge numerose Direzioni, deve ora tradurre i contenuti normativi del regolamento in linee guida procedurali che consentano di vivere realmente i principi in esso contenuti. Cercando di trovare un nuovo equilibrio tra la retorica della coprogettazione, erroneamente vista come la panacea per ogni male, e la resistenza al cambiamento che ancora si registra.

«Amministrare insieme non è la somma “uno più uno”, bensì qualcosa che può produrre una moltiplicazione», ha sottolineato Christian Malangone, direttore generale del Comune meneghino. «La modalità con cui siamo andati avanti sino a oggi non basta più. Ci sono una serie di criticità da risolvere, penso per esempio ai minori non accompagnati. Questo regolamento vuole andare oltre il quotidiano, l’impegno ordinario: è un proposito complesso, ardito, soprattutto nella pubblica amministrazione, dove si tende a fare delle griglie che poi ingabbiano. Non riguarda solo il sociale: tutta l’attività del Comune dev’essere investita da questo approccio. Su alcune cose lo stiamo facendo, su altre dovremo farle: penso all’ambiente e allo sport, giusto per citare alcuni esempi che riguardano tutti i cittadini».

Rossella Sacco, portavoce del Forum Terzo settore di Milano, ha voluto ricordare che «il welfare è economia civile, non sono cose distinte. È un percorso di co-programmazione avviato nel giugno 2022 e condiviso con tutti i soggetti della città, non soltanto con uno. Se raggiungeremo il benessere della città, generando economie con il coinvolgimento delle aziende profit, ne trarranno beneficio anche queste imprese. Sarà fondamentale il confronto con le altre città, che può aiutare noi a individuare miglioramenti e correttivi, e magari aiutare loro a crescere insieme a noi».

«Questo regolamento segna un passaggio sfidante per l’istituzione che lo promuove, perché propone implicitamente l’obiettivo di sperimentare una nuova forma di welfare», è il parere di Marco Brunod, docente dell’Università di Milano Bicocca, esperto di amministrazione condivisa. «Non dobbiamo dimenticare che i singoli cittadini e le famiglie spesso gestiscono da soli molte problematiche, mobilitando le proprie risorse economiche. Coraggiosamente, il Comune di Milano assume una sfida: provare a sviluppare progressivamente esperienze di welfare comunitario. Da solo non ce la fa nessuno di noi, e nemmeno il Comune. Ci sono aspetti della nostra vita che non possiamo delegare al libero mercato o mettendo al centro il profitto, cioè il vantaggio economico di uno dei soggetti coinvolti nel trattamento di queste problematiche che, finalmente, possono essere innalzate al rango di beni comuni».

Valeria Negrini, presidente di Federsolidarietà Lombardia, ha esordito con un auspicio: «Mi auguro che il Consiglio comunale approvi questa proposta di regolamento, per la qualità dei suoi contenuti. L’aspetto della co-programmazione va assolutamente curato per il bene di tutti i cittadini. E questo non si inventa, si può fare soltanto con un grande ascolto e con l’incontro tra due grandi soggetti che hanno ruoli e responsabilità diversi ma un fine comune. Insomma, sono richieste grandi capacità di ascolto, di analisi e di visione. E, di conseguenza, bisogna acquisire nuove competenze anche nello stare insieme. Vi scongiuro di non fare una cosa: definire le gerarchie del sapere. Il sapere sanitario vale forse più del sapere educativo? O l’assistente sociale del Comune vale più di quello dell’Ats? Credo di no, ma è quello che accade ogni giorno. Poi occorre un cambio di metodo. Trent’anni di appalti hanno portato molte organizzazioni, soprattutto la parte imprenditoriale, a sdraiarsi su logiche che non sono nostre. Ma nonostante le tante criticità, il Terzo settore, il mondo della cooperazione e dell’associazionismo hanno prodotto in questo Paese grande innovazione sociale. È innegabile. Ora andiamo a cercare le energie latenti. Penso ai problemi dei giovani, una tematica che spesso si affronta in maniera superficiale. Ebbene, in Emilia Romagna ci sono tanti ragazzi giunti anche dalla nostra Lombardia, che stanno bene perché stanno facendo del bene. Queste sono energie latenti che vanno valorizzate».

«Si vuole passare da una relazione verticale ad una orizzontale, con un processo di delega che consenta ai cittadini di contribuire in termini programmatori e partecipativi all’interno della loro comunità», ha invece detto Claudia Ponti, direttrice del Csv Lombardia. «Come tutti i processi innovativi, richiede azioni di sostegno e accompagnamento sia per la pubblica amministrazione che per gli enti del Terzo settore. Costruiamo un nuovo approccio culturale attorno alle persone e ai beni. Restituiamo il tema del welfare alle comunità, dando valore alla costruzione dei tessuti sociali e dei legami quotidiani, tutelando le persone più fragili. Il Terzo settore deve avere la capacità di riposizionarsi. Dobbiamo tornare a legittimarci attorno ai bisogni. Il volontariato deve farsi garante di un diritto e deve saper mantenere un ruolo attivo all’interno delle relazioni con le istituzioni. Usciamo dalla logica del servizio per essere portatori di proposte. Dobbiamo contribuire alla definizione degli obiettivi e delle priorità della comunità, partecipando attivamente e con responsabilità ai processi decisionali. Se ci immaginiamo questo nuovo profilo di relazioni tra la pubblica amministrazione e le organizzazioni del Terzo settore, è necessario che anche il volontariato si interroghi sui temi dell’autoreferenzialità, della frammentazione, di ricomposizione dei bisogni. È richiesta una forte manutenzione delle competenze in gioco. I Csv devono aiutare il volontariato a maturare queste competenze, non solo da un punto di vista tecnico-specialistico ma anche nella capacità di leggere i territori che abitiamo. Guardiamo anche alle altre città, per esempio alle esperienze simili avviate a Como e nel territorio di Monza-Brianza-Lecco».

In apertura, un'immagine di Fondazione Progetto Arca

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.