Cultura

Milano: il Comune “chiude” la scuola islamica

Gli esperti dell'assessorato all'Infanzia non hanno giudicato l'edificio di via Quaranta «idoneo» ad ospitare degli studenti. E riesplode la polemica

di Gabriella Meroni

Stop dal Comune di Milano alla scuola araba di via Quaranta, frequentata da centinaia di bambini, e che segue i programmi scolastici egiziani. Palazzo Marino ha ricevuto ieri la relazione degli esperti dell’assessorato all’Infanzia che si sono recati sul posto per un sopralluogo e hanno sentenziato: «L’edificio non è adatto ad ospitare degli studenti. Quindi la scuola non ha l’idoneià ad operare». Immediate le polemiche, soprattutto dal centrosinistra, che accusa l’assessore Simini di «clamorosa marcia indietro» dopo che nei giorni scorsi era stata ventilata l’ipotesi di un riconoscimento dell’istituto. Il Comune da parte sua sottolinea che «la lettera non chiude la strada alla legalità e alla richiesta di parificazione» avanzata dai vertici della scuola islamica. La reazione del direttore della scuola è stata raccolta da Repubblica: ”Non siamo una scuola coranica, non seminiamo l’odio. Anzi, tutto quello che abbiamo fatto in questi anni e’ stato per combattere l’odio, per dare un futuro ai nostri figli”, afferma Ali Sharif, che si dice ”ferito e deluso da tutte le menzogne che sentiamo su di noi”. Sharif, che dal 1976 vive in Italia, ha inviato una lettera al comune di Milano in cui chiede la possibilita’ di ”aprire” l’istituto. ”La nostra – ribadisce – non e’ una scuola coranica. I bambini studiano su programmi egiziani, quelli che vengono seguiti in qulasiasi altro istituto del nostro Paese. I nostri ragazzi vanno a sostenere l’esame per l’idoneita’ al consolato egiziano e, da qulache anno, anche alla scuola italiana. Non imparano solo l’arabo”. E conclude: ”Tutti possono entrare e vedere quello che stiamo facendo”. Intanto, lunedì si aprono le scuole e non si sa che cosa accadrà in via Quaranta. Circa 500 studenti aspettano di conoscere se dovranno presentarsi nelle “classi” allestite nell’edificio industriale (che tra l’altro si trova proprio di fronte alle finestre della redazione di VITA) oppure no. E c’è da scommettere che le polemiche continueranno almeno fino ad allora.


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