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Milano e l’”ideologia delle torri”

Il rogo della Torre del Moro di via Antonini, al netto dell'addebito delle responsabilità che spetta alla magistratura, impone una riflessione urbanistica. L'incendio è stato molto probabilmente causato da una copertura che, al solo scopo estetico ricopriva l'intero palazzo. Un caso per nulla isolato in città. Torri e rivestimenti alla moda: a quale immaginario risponde oggi il canone estetico di Milano? E quali conseguenze comporta? Ne abbiamo parlato con Christian Novak, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano

di Lorenzo Maria Alvaro

Un déjà vu. L'incendio di via Antonini a Milano, che ha incenerito la Torre del Moro, ha immediatamente riportato alla mente un altro terribile rogo, quello che quattro anni fa carbonizzò la Grenfell Tower di Londra uccidendo 72 abitanti.

Le immagini sono incredibilmente molto simili e le cause sembrerebbero essere le stesse: un rivestimento esterno che non era ignifugo e che ha fatto da accelerante per le fiamme. L'unica grande differenza è che nel caso inglese si trattava di un palazzo di edilizia popolare mentre la struttura meneghina costava al metro quadro tra i 5mila agli 8mila euro.

Un particolare che apre, al netto dell'incidente e delle eventuali responsabilità, ad un ragionamento di ordine urbanistico. È possibile che un appartamento all'interno di un grattacielo, edificato nel nulla di una periferia, arrivi a costare cifre considerevoli e che tipo di città si genera con questo tipo di interventi? Ne abbiamo parlato con Christian Novak, docente del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano.


In qualche modo la Torre del Moro, al netto delle cause e delle responsabilità del disastro, sembra quasi essere una metafora della città patria del marketing e dell'apparenza: una colata di cemento armato che spicca in mezzo a una periferia, abbellita da un make up di pannelli, quelli che poi hanno preso fuoco, considerata lussuosa…
A Milano ce ne sono decine di palazzi come questo. Ma per capire questa proliferazione di torri dobbiamo fare un passo indietro.

Facciamolo…
La prima questione è legata alla pianificazione urbana e al PGT di Milano che è abbastanza datato come genesi. E che è stato revisionato diverse volte nel tempo. Ha un imprinting molto spinto per quanto riguarda l'edificazione, quindi moltissimi nuovi volumi. Prevede una riduzione di consumo di suolo, quindi di nuovi spazi oggi agricoli e un incentivo alla rigenerazione di quello che c'è già. Ma spesso questa rigenerazione viene interpretata dagli operatori privati, proprio per i tanti volumi previsti, come la sostituzione di luoghi produttivi ormai dismessi con edifici abitativi. C'è enorme libertà, sia in termini di volumi che di funzioni, che ha portato le grandi società immobiliari ad un modello urbanistico molto semplificato: esiste sempre la torre, elemento anche simbolico in architettura, con alcuni edifici bassi intorno con un legame molto debole con il contesto.

Così si arriva alla Torre del Moro?
A quella e a tantissime altre costruzioni simili. Sono costruzioni che nascono generalmente in zone marginali, spesso problematiche, molto miste, cioè senza una vocazione chiara in cui si ha un po' di residenza, produzione e terziario. Il gesto architettonico, che il piano ha sempre permesso, è quello della rottura: una visione futura molto diversa da quella presente in cui, ahimè, la residenza è sempre stata elemento prioritario. Nasce così quella che potremmo chiamare “ideologia della torre” che si sta espandendo ben oltre Milano.

Perché “ahimé abitativo”?
Perché il rischio è sostituire ad una monofunzionalità produttiva del passato una monofunzionalità abitativa del futuro. Quindi costruire zone senza quel mix funzionale tipico del quartiere, in cui si vive, lavora, diverte. Così si costruiscono monoliti che alla base hanno qualcosa di molto desertico e non incentiva socialità e funzione pubblica. Si arriva a casa in macchina, si posteggia nel box sotteraneo e si prende l'ascensore fino all'appartamento. Non c'è incontro e relazione. Il concetto è quello di vivere la torre non il quartiere o la città. Non sono ideologicamente contro il concetto della torre, sicuramente ci sono casi in cui è una soluzione. Ma non può essere l'unica possibilità.

Questa ideologia della torre, al di là del fatto di costruirle, in cosa consiste e da dove nasce?
È legata, per quello che riguarda Milano, a due immagini iconiche: il Bosco Verticale, quindi la torre di lusso in una posizione privilegiata, e le Torri Bianche del Gratosoglio. Abbiamo i due estremi all'interno dei quali si stanno sviluppando dei prodotti immobiliari intermedi che ammiccano alla torre di lusso ma che non ne hanno né il contesto, né la qualità, né l'attacco a terra.

Cosa intende per “attacco a terra”?
Intendo lo spazio pubblico, una piazza, un parco, che siano in grado di digerire un edificio così alto e metterlo in relazione con il contesto.

Può fare degli esempi di questi cantieri?
A Cascina Merlata c'è una collezione di torri d'autore tra i 20 e i 30 piani con alla base il nulla. Non c'è nulla. Per questo stanno facendo un centro commerciale. Ad Affori sta accadendo lo stesso processo intorno alla stazione della ferrovia nord. Sta succedendo a Quarto Oggiaro. Spesso sono edifici di buona qualità estetica ma edificati in mezzo al nulla. Pensiamo alla zona Stevenson, fra Expo e l'ingresso dell'autostrada. Una delle zone più complicate di dismissione produttiva della città. È stato sostituito un capannone con una torre, con attorno un paesaggio industriale dismesso con strade larghissime senza alberi. L'unica cosa che è stata aggiunta è un parchetto alla base del palazzo. Ho l'impressione che stiamo disegnando dei potenziali ghetti del futuro.

Perché?
Chi andrà a vivere in questi palazzi? Magari i prezzi della Torre del Moro hanno un po' selezionato l'accesso. Ma se prendiamo in esame zone più a nord della città la distanza dal centro è siderale. Sono palazzi che affacciano su cimiteri, svincoli autostradali. Eppure c'è chi vuole andarci a vivere. Anche grazie ad un battage pubblicitario martellante.

Diceva che scimmiottano le torri di lusso senza averne le caratteristiche, tra cui la qualità. E l'incendio naturalmente ha anche a che fare con la qualità del manufatto…
C'è la costruzione di un immaginario dell'abitare legato all'ideologia della torre. Se guardiamo i rendering degli interni noteremo sempre gli stessi arredamenti. Vedremo sempre la lampada ad arco di Castiglioni. Ma costa 5mila euro. Vendono, come è naturale, un'immagine di benessere, tranquillità, luminosità e rilassatezza. Al netto del fatto che naturalmente è tutto illusorio. La pubblicità proporrà arredamento esclusivo, grandi divani, grandi vetrate con viste stupende. Viste che non sono quelle reali perché non mettono il Cimitero Maggiore, che poi è in effetti il vero panorama. Senza contare che sono semrpe relative agli attici. Nessuno si chiede chi abita nei piani bassi delle torri. La qualità si cerca per cui in altre cose: la domotica, l'insonorizzazione, la flessibità degli spazi, la classe A, la coibentazione.

È un problema?
Di per sé no. Se non fosse che porta il tema della qualità di un edificio molto sull'interno. Cioè su quello che compri. Non sulla zona, sull'accoglienza del quartiere, sul tipo di tessuto urbano ma sul comfort dell'appartamento. Un'idea abitativa isolante ed isolata che sia bastevole a se stessa, autosufficiente. La necessità è allontanarsi totalmente dall'iconografia della torre popolare. Se leghiamo questo al vendere anche un futuro che sarà, quello della zona in trasformazione, con un tentativo di gentrificazione delle periferie.

La qualità però è anche sicurezza. La Torre del Moro è bruciata per via di una copertura a solo scopo estetico…
Il problema enorme di quell'incidente è che nei fatti chi ha costruito l'edificio lo ha fatto a norma di legge. È una struttura costruita prima del 2013 momento in cui viene emanata un'indicazione non obbligatoria sul considerare preferibili materiali ignifughi delle facciate. Stiamo andando verso due anni di cantierizzazione di cappotti termici con incentivi. É preoccupante. È necessario imporre delle linee guida chiare. Certamente quella facciata, che non era in aderenza, aveva solo scopo decorativo. Quindi è evidente che nasca da una mera esigenza estetica: dare un effetto cool e attraente al palazzo. Si può dire che il disastro sia nato da qui.

Tornando al PGT e alla rigenerazione urbana perché a Milano si è deciso di intendere la rigenerazione come ricostruzione e non come riuso o recupero?
Bisogna dire che a Milano capita che si assista a cantieri di riuso e recupero. Più ci si sposta in periferia, e per periferie intendiamo anche provincia e hinterland, sempre meno. Se prendiamo il caso di Monza, sul cui PGT avevo lavorato, si è posto il problema della riqualificazione delle aree industriali dismesse. Si era deciso, con incontri area per area con la cittadinanza, di mantenere alcuni edifici di archeologia industriale e di mantenere sempre una percentuale di spazi per il lavoro, per la residenza e per il commercio, in ossequio all'idea di mix che rendono una città viva di giorno e di notte. Recentemente è stato fatto una variazione del piano indicando il nostro lavoro solo come indicazioni non vincolanti. Quello che sta succedendo è che i progetti approvati sono torri residenziali. Uno scempio. Come si spiega? È più semplice e più redditizio radere tutto al suolo. Il recupero richiede competenza, fantasia e capacità di innovazione e rischi che nessuno vuole correre. Basta pensare alle ciminiere. Con il cambio di classe sismica della Lombardia nessuno le vuole più mantenere perché servono delle certificazioni in più.

Come se ne esce?
È un discorso complesso su cui semplificare può essere rischioso. Quello che serve è una visione. Uno sguardo complessivo e un'idea di città su cui convergere tutti gli interventi urbani. Sbaglia chi pensa che ci sia un solo responsabile. Quello che serve è un'alleanza in questo senso tra operatori privati e del privato sociale e le istituzioni locali, comuni e regioni. Un'alleanza che metta tra le principale priorità di ogni intervento il ritorno pubblico. Solo così si potrà superare l'ideologia della torre.

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