Cultura

Milano e la guerra del fumo

di Lorenzo Maria Alvaro


Milano ormai è una città in cui c’è una netta separazione tra l’essere e l’apparire, in cui il marketing ha ormai invaso ogni ambito della vita delle persone. Una città a misura di Instagram in cui è importante solo ciò che le cose lasciano immaginare più che quello che sono veramente. I boschi sono verticali, e mentre il cemento cresce a dismisura (arriveranno altri 5 miliardi di investimenti in edilizia da qui alle Olimpiadi) gli alberi traslocano sui balconi guardando dall’alto distese di asfalto. Il palazzo della Unicredit con il suo dito puntato contro il cielo soppianta il Duomo nella centralità del panorama cittadino e della vita urbana: cristalli e acciaio, lusso e payette diventano il biglietto da visita della città nel mondo mentre nei quartieri intorno a Isola e Gae Aulenti centinaia di persone dormono nei sottopassi per terra all’addiaccio nell’indifferenza.

Di quel grido delle “periferie al centro” che portò l’attuale sindaco Beppe Sala a Palazzo Marino, tra un’area B, qualche operazione di restyling urbano fatta con la vernice e un nuovo grattacielo non c’è più memoria. Da Barona al Gratosoglio passando per Corvetto, Stadera e viale Padova di quel piano non si è saputo più nulla dalla chiusura delle urne. In questo contesto Sala ha deciso di lanciare una proposta lunare: divieto di fumo all’aperto entro il 2030. È evidentemente una proposta elettorale, di quelle il cui senso si comprende solo all’interno di una competizione politica che sempre di più è fatta di slogan e boutade. Ma rimane grave. Non è questione di fumo si o fumo no. È questione di libertà personale, di etica ed educazione imposte per legge e di tanto altro.

Milano si candida ad essere una moderna Pyongyang sempre più, e solo, ad uso e consumo di chi se la può permettere. Una città a misura di chi può comprare una Tesla e va al mercato rionale a mangiare un poke hawaiano (andate a vedervi il progetto di riqualificazione del mercato comunale di piazzale Lagosta e rabbrividite). Ma non è solo questo. La proposta di Sala è irricevibile per tantissimi altri motivi.

Non c’è neanche bisogno di entrare nel solito, enorme, controsenso di uno Stato che ti vende un bene iper tassato per poi farti la guerra perché lo compri. Lo Stato ti vende le sigarette e poi ti moralizza perché fumi. La vera sciocchezza di chi conduce battaglie come questa è l’idea che si debba imporre l’educazione. Che sia normale provare a inculcare l’etica al cittadino attraverso dei regolamenti. Aspettiamo qualche norma che obblighi a lasciare il posto sui mezzi pubblici alle donne incinte e che vieti l’uso degli smartphone in luoghi affollati.

Ma c’è di più: c’è l’assassinio della libertà. Non si può fumare in macchina, non si può fumare nei locali pubblici, non si potrà fumare all’aperto. Vedremo se arriverà qualche idea su come vietare il fumo anche nelle abitazioni private. E in conclusione il coup de théâtre. Il divieto al fumo è ambientale. Sì perché la norma sarà contenuta nel Regolamento Aria e Clima, cioè nelle disposizioni per limitare lo smog. Non sono le scuole (scarsamente coibentate e riscaldate a gasolio), le industrie e i cantieri disseminati in tutta la città a inquinare. No, siete voi con il vostro fumo. Non è stata la piastra di Expo che ha cementificato 160 ettari di terreno agricolo a inquinare, ma la vostra sigaretta mattutina. Tutto questo si spiega banalmente: Sala è un capitalista positivista. Tutta l’avventura di Sala politico è lì a dimostrate che per lui la questione ambientale non si possa affrontare ripensando il sistema capitalistico predatorio. Ma che si debba favorire un nuovo giro di guadagni, consentendo alla bestia di continuare a nutrirsi, questa volta con la green economy. Se svolta green deve essere deve esserlo a spese del cittadino. Sarete voi a dovervi comprare la macchina elettrica, a installare i pannelli solari, a cambiare la caldaia, a installare le valvole ai termosifoni e a smettere di fumare. Loro continueranno a guadagnare come e più di prima.

Nel dibattito naturalmente, essendo come di consueto di livello infimo, il tema di chi sostiene queste politiche è sempre lo stesso: “è giusto perché a me dà fastidio chi fuma alla fermata dei mezzi pubblici”. E voglio starci. D’accordo. Anche a me dà fastidio che la città venga bloccata dalle decine di maratone cui il Comune concede i permessi. Introduciamo una tassa sul podismo. Mi dà anche fastidio l’idea che i possessori di gatti e cani non debbano pagare una maggiorazione delle tasse sui rifiuti nonostante tra sabbia e feci inondino la città di pattumiera (senza contare la manutenzione delle aree cani nei parchi). Introduciamo una tassa sul possesso degli animali domestici. Per finire mi dà anche enormemente fastidio che usando i mezzi pubblici debba pagare la stessa cifra per un percorso di due fermate come di dieci. Introduciamo il biglietto a percorso. Di idee stupide se ne possono inventare a centinaia. Alcune poi sono più stupide di altre.

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