Non profit

Milano creativa, Milano ferita.

Intervista ad Aldo Brandirali: «I disordini non fotografano una situazione vera. Oggi i ragazzi di questa città cercano idealità e faticano nella socializzazione».

di Giuseppe Frangi

Milano brucia? Un sabato di non ordinaria violenza, che ha messo a ferro e fuoco la più grande arteria commerciale d?Italia, ha fatto balenare agli occhi di tanti lo spettro degli anni bui della violenza estremista. Ma forse più che la paura ha potuto lo spaesamento: da dove venivano questi ragazzi? Perché si erano imbottiti di pietre e di molotov? Perché nessuno aveva intercettato le loro intenzioni? Domande che hanno inquietato anche un grande conoscitore della realtà giovanile della metropoli lombarda come Aldo Brandirali. Più o meno 40 anni fa anche lui stava sulle barricate; oggi sta chiudendo il suo mandato da anomalo assessore ai Giovani e allo Sport nella giunta di centrodestra di Gabriele Albertini. Anomalo perché Brandirali ha mantenuto la sua libertà trasversale, ha cercato e valorizzato la vitalità giovanile della città senza guardare l?etichetta che avevano. Con la sua storia e la sua sperimentata capacità di ascolto Brandirali non perde di vista la realtà. Vita: Che affinità c?è tra questi giovani scesi in piazza e i giovani della sua generazione? Aldo Brandirali: Per me non ce n?è nessuna. Allora c?era da contrastare una borghesia dai forti connotati conservatori. Oggi invece la realtà è dominata dai poteri forti che tengono ingessata la politica. Oggi non si può parlare di movimenti, perché le forme di rappresentanza giovanile non hanno preso piede. E i leader parlano solo per loro. Oggi nei giovani vedo più lavoro nella ricerca di sé; vedo più io e meno socializzazione. Vita: Vuole dire che c?è anche meno tensione ideale? Brandirali: Nient?affatto. In questi anni ho incontrato tante esperienze segnate da forti tensioni ideali, anche se di cultura diversa. Anche il Leoncavallo secondo me è stato capace di un dinamismo generativo di idealità tenace nell?affrontare la globalizzazione. Poi tra i giovani ho intercettato tante punte di eccellenza che tenevano sempre conto di questa tensione a un?idealità. Ci sono segnali di crescita culturale che magari non vengono intercettati dai grandi comunicatori ma che invece segnano il tessuto umano di questa città. Penso al successo inatteso che ha avuto il nostro gemellaggio con Parigi per permettere a dei giovani artisti di fare un periodo di formazione nella capitale francese. Vita: Sembra molto colpito dalla creatività e dal lavoro artistico che ha visto nei giovani… Brandirali: è così. Mi colpisce perché esprime sensibilità non omologate. In un mondo dove la cultura va sempre verso la distruzione spesso gratuita delle forme, loro cercano un segno come elemento di identità. Non si lasciano condizionare dai trend o dalle mode culturali. Questo è un dinamismo che francamente mi ha sorpreso e che ho cercato di valorizzare. Vita: Che differenza c?è tra i giovani di Milano e i giovani che abitano le banlieue parigine? Brandirali: Una grande differenza. Qui le politiche di mediazione hanno potuto appoggiarsi su un tessuto sociale che ha tenuto. Là le funzioni di mediazione invece erano ritenute funzioni ?del nemico?. Chi mediava non era diverso da chi voleva portare ordine; era come il controllore o il poliziotto. Vita: Ma che cosa manca a questi giovani? Brandirali: Mancano i luoghi. Milano è diventata una città arida di luoghi. Brera è stata svuotata, il Ticinese è come una giostra senza più nessun contenuto culturale. è uno scotto che la città paga anche per il mancato dialogo tra pubblico e privato. Il pubblico è ancora troppo segnato da elementi ideologici, il privato invece ha una fondamentale disistima del pubblico e va avanti per la sua strada e propone eventi che sono sovrapposti alla città. Finito l?evento e spenti i riflettori, tutto va avanti come prima. Vita: E la politica è fuori gioco? Brandirali: Completamente. La sinistra vive in un ghetto un po? snob. La destra è caratterizzata dal personalismo berlusconiano che ormai è fuori trend. E pensare che invece questa città ha tutte le caratteristiche per raccogliere l?unica sfida in cui l?Occidente può reggere il confronto con l?Oriente. Che non è evidentemente quella della produttività, ma quello della creatività. Da produttori dobbiamo diventare inventori. Ma l?inventore non è una monade. Ha bisogno di un tessuto sociale e comunitario che lo accompagni e lo faccia crescere in uno scambio di creatività continua.


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