Politica

Mike, eroe popolare

di Franco Bomprezzi

Dovremmo interrogarci seriamente del perché il popolo della gente normale, semplice, di ogni età e di ogni censo, ben vestita e tranquilla, stia dando un composto e affettuoso omaggio, in queste ore, a Mike Bongiorno. In fondo si tratta di un presentatore televisivo, non di uno statista, né di un padre della patria. E’ stato anche un uomo ricco, di successo, vicino e contiguo alla persona che incarna fisicamente quel potere, Silvio Berlusconi. E poco importa che negli ultimi tempi ci siano stati malintesi o ingratitudini evidenti. Nessuno ragionevolmente può mettere in dubbio che fra i due esistesse un legame profondo di stima e di amicizia vera. Domani Silvio sarà ai funerali di Stato e non andrà all’inaugurazione della fiera del Levante a Bari, pur di non mancare all’ultimo saluto.

Eppure il popolo che in queste ore fa la fila alla Triennale di Milano, per vedere solo per alcuni secondi una bara con un drappo rosso sul quale campeggia in corsivo il motto: “Allegria!” è, secondo me, pre-politico, e non coincide con una logica di schieramento. Tutti hanno un buon ricordo di Mike Bongiorno. Perché lo vivono come uno di famiglia. E’ stato fra i pochissimi (metto nella lista, un gradino più sotto o di lato: Enzo Tortora e Corrado, sicuramente non Pippo Baudo, meno ancora Bonolis) a usare la televisione come un mezzo, senza alcun secondo fine, se non quello di essere se stesso, e di entrare nelle case per dare un po’ di serenità e, appunto, di allegria, anche in anni nei quali le difficoltà economiche e sociali erano evidenti e gravi.

Il sogno del telequiz infatti non era paragonabile al Superenalotto, che crea ansia e distrugge risparmi. Le competizioni culturali di Mike Bongiorno erano innanzitutto uno straordinario strumento di diffusione della lingua (lo hanno scritto in tanti in questi giorni), ma sopratutto dell’erudizione specifica, ossia di quel mix di esercizio ginnico della memoria e di studio indefesso di una singola, parzialissima, materia, che poteva anche essere di enorme apparente popolarità e facilità, come il calcio, o la musica lirica, o la storia.

Tutti abbiamo, più o meno, scoperto di essere profondamente ignoranti quando Bongiorno, ignorante anch’egli delle risposte, formulava domande pazzesche al concorrente con le cuffie alle orecchie e chiuso in una cabina mentre il metronomo scandiva i secondi prima del gong. Tutti abbiamo capito che era inutile partecipare al quiz se non si era preparati per bene almeno in una materia. C’era una pedagogia popolare in quella storia televisiva, che ora è completamente perduta. La televisione sta celebrando l’ignoranza e la mediocrità quale modello per gli ascolti (e Bongiorno non ha mai contribuito, va detto, a questo degrado, se non inconsapevolmente, quale partner manageriale di questa fabbrica del consenso).

Oggi forse abbiamo bisogno di ricordare Mike come un eroe popolare perché in un sussulto di dignità nazionale riconosciamo a lui le doti del buon padre di famiglia, educato, severo, capace di fare una ramanzina, capace di scatti autoritari, ma poi anche di rabbuffi generosi. E anche un uomo con uno stile irreprensibile nei confronti delle donne, di quelle vallette che non erano veline, che ha sempre trattato un po’ rudemente e con tante gaffes, ma mai in modo volgare o ammiccante.

Anche il suo rapporto con le aziende era naif, genuino e ingenuo, le sue pubblicità erano destinate ovviamente al successo perché non si basavano su slogan intellettualoidi o metalinguaggi da addetti ai lavori, ma solo sulla sua credibilità di testimonial atletico e simpatico. Anche gli astemi sapevano quale grappa piaceva a Mike Bongiorno, e tutto questo non dava fastidio, ma anzi, diventava tormentone domestico, all’ora di cena, quando le famiglie (una volta) si riunivano a tavola.

Certo, c’è un po’ di nostalgico e di retrò in un ricordo di Mike Bongiorno, ma a volte anche la nostalgia può contribuire a ripensare il presente, e a costruire un futuro più umano e meno falso. Grazie Mike.

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