Sostenibilità

Migrazioni: più delle guerre incide l’insicurezza alimentare

Per ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare, l’1,9% della popolazione (per mille abitanti) è costretta a migrare, mentre un ulteriore 0,4% (per mille abitanti) fugge per ogni anno di guerra e i cambiamenti climatici peggiorano la situazione. È il tema al centro del secondo Food Sustainability Report, ideato da Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition e Milan Center for Food Law and Policy

di Antonietta Nembri

Più della guerra è la fame a spingere le popolazioni a migrare. A sostenere che le migrazioni sono un fenomeno dovuto in buona parte all’insicurezza alimentare è uno studio dello United Nations World Food Programme (WFP), contrariamente all’opinione diffusa infatti uno Stato con crescenti livelli di insicurezza alimentare e di conflitti sperimenterà una maggiore emigrazione in uscita o movimenti di persone che abbandonano la propria casa. Secondo lo studio, infatti, ogni punto percentuale di aumento dell’insicurezza alimentare costringe l’1,9% della popolazione (per mille abitanti) a migrare, mentre un ulteriore 0,4% (per mille abitanti) fugge per ogni anno di guerra. Tra le cause di insicurezza alimentare ci sono, senza ombra di dubbio, i cambiamenti climatici che stanno colpendo il Pianeta. Cambiamenti per scongiurare i quali il mondo ha solo tre anni di tempo, come titolava a fine giugno l’inglese “The Guardian” sintetizzando una lettera aperta di esperti internazionali pubblicata sulla rivista “Nature”.

L’insicurezza alimentare e il suo rapporto con le migrazioni, come la sostenibilità della produzione alimentare sono i due focus del secondo numero del Food Sustainability Report (trimestre aprile – giugno 2017), lo strumento realizzato da Fondazione Barilla Center for Food and Nutrition (BCFN) e Milan Center for Food Law and Policy. Un ausilio agli addetti ai lavori per orientarsi nell’enorme flusso di informazioni sui siti internazionali di lingua inglese, riguardanti il cibo ed i suoi impatti in termini sociali, economici, ambientali, ma anche uno strumento per sensibilizzare sull’urgenza di agire per rendere il sistema alimentare globale realmente sostenibile.

Il tema centrale è proprio il Climate Change, del resto il riscaldamento globale è stato al centro di quasi 27mila articoli sui siti internazionali monitorati (+27% sul primo trimestre 2017) dal Report. Per il professor Stefano Zamagni, ordinario di Economia Politica all'Università di Bologna, Adjunct Professor of International Political Economy alla Johns Hopkins University, Bologna Center, e membro ordinario della Pontificia Accademia delle Scienze, così commenta i risultati del Report: «Sostenibilità ambientale, sostenibilità nutrizionale e sostenibilità della pressione migratoria costituiscono i tre vertici dell'odierno triangolo politico-istituzionale. Due le scuole di pensiero che oggi si confrontano nel dibattito pubblico. Per un verso, vi sono coloro che parlano di un trilemma e ciò nel senso che, al più, sarebbe possibile assicurare solo due dei tre tipi di sostenibilità. Ad esempio, Donald Trump è disposto a rinunciare alla sostenibilità ambientale per non porre a repentaglio le altre due; per la Cina, la sostenibilità della pressione migratoria non è certo in cima alla sua agenda politica. Per altro verso, vi sono coloro che giudicano fallace, perché aporetica, la tesi del trilemma. L'Unione Europea persegue da anni, non senza difficoltà e contraddizioni interne, l'ambizioso progetto di tenere insieme, in mutuo bilanciamento, i tre tipi di sostenibilità. Noi ci poniamo tra coloro che negano l'esistenza inevitabile del trilemma. È cattiva scienza (sia sociale sia naturale) quella che fa credere all'esistenza di irriducibili trade-off: non ci sarebbe stato bisogno della rivoluzione scientifica! Quel che è urgente porre in campo è una vasta e approfondita campagna culturale di alfabetizzazione. Su questi temi c'è troppo chiacchiericcio e troppa poca informazione veramente scientifica. Ecco perché l'opera che il Bcfn, con la preziosa collaborazione del Milan Centre for Food, Law and Politics, va realizzando merita incoraggiamento, per progredire sulla via intrapresa ed ampliare il suo raggio d'azione».

Da parte sua, Livia Pomodoro, presidente del Milan Center for Food Law and Policy, pone l’accento sulle conseguenze politiche degli avvenimenti delle ultime settimane e sul ruolo che l’Italia può e deve assumere in tale contesto: «La discontinuità che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha voluto marcare sul tema degli accordi sul clima suona come un “altolà” al messaggio universalistico della Parigi di COP21, che per fortuna non è stato seguito da una fuga dalle responsabilità di altri Stati. L'Italia con il G7 di Taormina e il G7 dell'Ambiente di Bologna ha avuto due buone importanti occasioni per lavorare a cucire quel che appare strappato dopo gli entusiasmi di COP 21. Dobbiamo continuare ad essere protagonisti, come lo siamo stati con Expo2015 quando abbiamo mostrato di saper assai bene coniugare il tema del cibo con quello della sua regolazione, del nuovo orizzonte dello sviluppo sostenibile e dunque della protezione del Pianeta. L'Italia – conclude – deve lanciare la propria candidatura ad ospitare COP 26: ci impegnerebbe da subito in una forte iniziativa per recuperare quanto oggi sembra perduto e per porre davanti a noi un nuovo traguardo per le nostre ambizioni. Ciò segnerebbe un nostro ritorno sulla scena dell'ambiente e delle sue tematiche: qui, più di tutto, si misura la nostra responsabilità verso il futuro».

In apertura photo by W A T A R I on Unsplash

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