Volontariato

Migrazioni: il caso Chinatown visto dal Cospe

Dopo le polemiche degli ultimi giorni, l'ong italiana offre una testimonianza nsulle attività multiculturali svolte assieme assieme alla comunità cinese

di Redazione

A qualche giorno di distanza dai fatti di Milano del 12 aprile, dalla corsa mediatica a raccontare le varie ?chinatown? italiane, dalle dichiarazioni del Governo e dalle reazioni strumentali, corre l?obbligo a chi come Cospe (Cooperazione per lo sviluppo dei paesi emergenti), lavora in Italia con famiglie e ragazzi di origine cinese, nelle scuole a fianco di colleghi cinesi e in Cina in progetti di scambi culturali e di cooperazione, contribuire a sgombrare il campo da alcuni ?equivoci?.

Negli anni, soprattutto lavorando nelle scuole, abbiamo assistito a un crescendo di difficoltà nelle relazioni tra amministrazioni e cittadini di origine cinese, e al formarsi di luoghi comuni, come la tanto citata ?chiusura?, che gli stessi cinesi stentano a capire da dove nascano.

In questo caso, se di chiusura vogliamo parlare, la questione nasce da fattori esterni che si rintracciano, senza troppi sforzi sociologici, in una percezione di grande insicurezza da parte dei cittadini cinesi che vivono e lavorano in Italia. Le denunce di aggressioni, di soprusi, angherie e umiliazioni che pure abbiamo raccolto come associazione, non vengono quasi mai ascoltate dalle autorità. I cittadini cinesi residenti in Italia in gran parte non si sentono tutelati come singoli. Questa percezione fa il pari con le vicende degli ultimi giorni in cui non si parla di individui, portatori di diritti e di opinioni, ma di ?comunità?: un?entità collettiva su cui è facile e strumentale generalizzare. Le generalizzazioni, come gli stereotipi servono a incasellare facilmente la realtà, a semplificarla e, inevitabilmente ad appiattirla. A questo contribuiscono (tranne rare eccezioni) la stampa e le autorità.

Troviamo infatti preoccupante che anche un Ministro della Repubblica come Amato si pronunci con affermazioni gravi e che vanno proprio in questo senso come: ?Quella cinese è una comunità chiusa, con cui è difficile dialogare? arrivando a ipotizzare categorie di immigrati più o meno ?propensi all?integrazione? dicendo che per i cinesi ?isolarsi diventa quasi una condizione prescelta?.

Si tratta di affermazioni che in maniera irresponsabile non tengono conto della realtà: non sono solo i pasticci del Sindaco di Milano a farci ritenere pericolosi i fatti degli ultimi giorni, ma si tratta piuttosto di un clima e di una tendenza della società italiana che, tra l?altro, non si indigna nello stesso modo per atti illegali commessi da stranieri e italiani: accanto ad accenti xenofobi sempre più diffusi si affaccia infatti la paura verso un?economia vista come vincente e di cui i cittadini cinesi in Italia vengono stigmatizzati come veri e propri avamposti. Il dibattito politico stesso sembra dare per scontato il concetto che l?integrazione sociale degli immigrati dipenda da una ?gentile opportunità? concessa dal nostro Paese, dimenticando che siamo ? fino a prova contraria ? uno Stato che vede l?individuo come portatore di diritti. Da questa visione riduttiva deriva che si dia per scontato che i cinesi in Italia facciano solo certi tipi lavori e che i loro figli continuino a farli?

A questa logica corrispondono anche le classi monoetniche, proposte da alcune scuole italiane e presentate come sperimentali e segno di integrazione. Per chi avesse l?intenzione di ascoltare i diretti interessati scoprirebbe che le classi di soli studenti cinesi non sono un?esigenza dei cittadini di questa origine che vivono in Italia ma una forzatura di una scuola che non tiene conto di valori quali quello della convivenza e che preferisce creare classi ad hoc di bambini di origine cinese quasi temendo che possano frenare la corsa all?istruzione dell?intellighenzia italiana.

Molte a questo proposito le segnalazioni di molti ragazzi di origine straniera, in particolare cinese, che nelle scuole delle periferie metropolitane italiane non trovano posto a scuola.

Chiudiamo con un appello a un maggiore approfondimento dell?informazione da parte di tutti, giornalisti, politici, singoli cittadini e di uno stimolo a una maggiore conoscenza della Cina, così vicina. Forti di un lungo lavoro sul territorio e dei risultati di un recente convegno ?Polo Est. L?arte della cooperazione con la Cina?(4-5 aprile 2007) che si è tenuto Prato, in collaborazione con la Provincia di Prato e con la Università degli Stranieri di Siena. Abbiamo avuto conferma anche in quell?occasione, dalla voce dei diretti interessati, che quello che spesso manca è un loro reale coinvolgimento nella vita e nelle scelte delle politiche cittadine come denunciano, mettendosi in gioco, le giovani seconde generazioni di Associna. Quelli di loro che sono nati e cresciuti a Milano dimostrano di voler affrontare e risolvere i conflitti di Paolo Sarpi attraverso maggiore dialogo.


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