Politica

Migrazioni. Federica Mogherini: «No alla condizionalità, sì al partenariato»

Terrorismo, sicurezza, migrazioni, investimenti, sviluppo sostenibile. In Sahel, tutto è legato. A dichiararlo è l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, che in questa intervista esclusiva rilasciata a Vita.it e ai suoi media partner africani rigetta le accuse alla nuova strategia dell'UE sulla gestione dei flussi migratori nei paesi Terzi: "La parola chiave della nuova proposta non è la condizionalità, ma il partenariato".

di Joshua Massarenti

In giugno ha presentato assieme al Commissario Tiemmermans una nuova proposta di partenariato con i Paesi Terzi che include “una combinazione di incentivi positivi e negativi integrata nelle politiche UE nel campo dello sviluppo e del commercio, per ricompensare i paesi disposti a collaborare in modo efficace con l'Unione nella gestione della migrazione e garantire che quelli che si rifiutano di farlo ne subiscano le conseguenze”. Perché imporre condizioni a paesi africani che affrontano flussi migratori molto più importanti rispetto all’UE?

La parola chiave della nuova proposta non è la condizionalità, ma il partenariato. Il nostro approccio trova le sue radici nel concetto “win-win” da cui sia l’UE che i suoi partner traggono benefici.

Ho sempre pensato che l’immigrazione sia positiva, se non necessaria, ma che vada gestita. Le migrazioni sono un fenomeno complesso che riguarda l’Europa, ma anche, se non di più l’Africa. Il Niger accoglie 300mila tra rifugiati e migranti, mentre in Etiopia si contano oltre 700mila rifugiati; ora questi paesi sono molto più poveri rispetto ai nostri. La ricerca di una gestione comune del fenomeno è necessaria, per il bene dei migranti e anche per la nostra stabilità. Dobbiamo aiutare a rafforzare le capacità a gestire i flussi, offrire opportunità economiche, reintegrare coloro che tornano in patria, aprire nuovi canali legale d’immigrazione.

Investimenti, sviluppo, sicurezza, tutto è legato. Dobbiamo adottare un approccio globale, che includa i governi, le società civili e i difensori dei diritti umani. E’ la logica dei “Partenariati per la migrazione”: la collaborazione con un Paese Terzo sulla gestione dei flussi migratori ci costringere a mobilitare tutti gli strumenti a nostra disposizione. Gli aiuti allo sviluppo devono essere accompagnati da politiche commerciali, il sostegno alla sicurezza, gli investimenti privati. E’ un partenariato per gestire insieme un fenomeno complesso che ci riguarda tutti, in un interesse comune.

L’interesse strategico dell’UE è la pace, la stabilità, la sicurezza, lo sviluppo a livello mondiale e in special modo nella nostra regione.

La collaborazione con un Paese Terzo sulla gestione dei flussi migratori ci costringere a mobilitare tutti gli strumenti a nostra disposizione. Gli aiuti allo sviluppo devono essere accompagnati da politiche commerciali, il sostegno alla sicurezza, gli investimenti privati.

Questo ci consente di gestire in modo più efficiente i flussi migratori. Ma ripeto, per l’interesse di tutti.

Lo è per gli africani, che dobbiamo aiutare a raccogliere la sfida del controllo dei loro territori dove si trafficano armi, droga, essere umani e dove sono presenti gruppi terroristici come Boko Haram in Nigeria, gli Shabab in Somalia, o Da’esh in Libia. L’Africa ha anche bisogno di aiuti per la lotta contro il cambiamento climatico, che ha un forte impatto sulle popolazioni. Infine, è nell’interesse dell’Africa che l’aiutiamo ad attrarre investimenti nelle infrastrutture, l’energia e i trasporti, per svilupparsi. Meno conflitti significa più stabilità e sicurezza, più impiego, più istruzione e meno radicalizzazione.

Lo stesso discorso vale per i movimenti migratori. E’ nel nostro interesse comune creare dei canali di migrazione regolare. Coloro che pensano che lottare contro il traffico illegale di esseri umani non sia opportuno sono fuoristrada. Parlate con le giovani Nigeriane che hanno lasciato il proprio paese per lavorare, e poi si sono ritrovate incatenate, violentate e rinchiuse in fondo a una stiva, prima di essere trasformate in schiave sessuali. Combattere il traffico di essere umani è un dovere assoluto. Sia per gli europei che per gli africani.

Dopo le recenti sconfitte in territorio nigeriano, Boko Haram ha spostato la sua minaccia nel Lago Ciad, colpendo il Niger, il Camerun e lo stesso Ciad. Per contrastare il gruppo terrorista, i paesi del G5 Sahel hanno annunciato la creazione di una forza mista internazionale che ad oggi non è ancora operativa. I presidenti nigerino e ciadiano hanno denunciato una mancanza di mezzi. Eppure l’UE era disposta a mettere sul tavolo 50 milioni di euro. Quando questo fondo diventerà operativo?

Ovunque nel mondo, Europa e Africa comprese, ad ogni attacco perpetrato dai terroristi per destabilizzare i nostri paesi e le nostre società,dobbiamo rispondere in modo più unito, più determinato. Lottare insieme contro il terrorismo è una priorità per tutta la regione del Sahel, è quindi naturale che l’UE dimostri piena solidarietà nei confronti dei paesi di questa regione, appoggiando i loro sforzi sin qui compiuti. Lo abbiamo fatto avviando un anno una cooperazione più stretta e al più alto livello tra l’Unione Europea e i paesi del G5 Sahel, ovvero Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad.

Dopo il nostro primo incontro a Bruxelles in giugno 2015, ho avuto l’onore di partecipare alla riunione con i presidenti del G5 a N’Djamena, per poi effettuare visite ufficiali in Niger, Nigeria e Ciad nel corso dell’anno. Il nostro ultimo incontro del 17 giugno scorso ci ha permesso da un lato di consolidare una partnership strategica, dall’altro di riunire i cinque ministri degli Affari Esteri del G5 Sahel e il ministro libico per imbastire una cooperazione sulla gestione delle frontiere nel Sud della Libia. E’ un elemento essenziale per aiutare a preservare la stabilità della regione, particolarmente minacciata dai numerosi traffici che seviziano in Sahel.

L’UE sostiene quindi la cooperazione regionale che è stata instaurata tra questi paesi, special modo attraverso il nostro appoggio alla Forza Mista Multinazionale (FMM), creata per lottare contro Boko Haram grazie al contributo in truppe del Benin, Camerun, Ciad, Niger e Nigeria, tutti paesi che fanno parte della Commissione del Bacino del Lago Ciad (CBLT).

Dal canto nostro, penso che abbiamo fatto il necessario: nel corso del Summit per la sicurezza del bacino del Lago Ciad, ho annunciato la nostra decisione di sostenere la Forza Mista Multinazionale con un fondo pari a 55 milioni di euro e, assieme al commissionario europeo per la cooperazione allo sviluppo, Neven Mimica, e il Commissionario dell’Unione Africana per la pace e la sicurezza, Smail Chergui, abbiamo firmato un accordo che consentirà di rafforzare il coordinamento regionale della nostra riposta alla crisi.

L’UE, è bene ricordarlo, sostiene ognuno dei paesi della regione impegnato nella lotta contro il terrorismo e per la sicurezza. Missioni quali EUCAP Sahel Niger, EUCAP Sahel Mali e EUTM Mali sono esempi concreti della nostra azione nell’ambito della nostra Politica estera e di sicurezza comune.


L’UE sostiene la cooperazione regionale che è stata instaurata tra questi paesi, special modo attraverso il nostro appoggio alla Forza Mista Multinazionale (FMM), creata per lottare contro Boko Haram.

Tuttavia gli ostacoli non mancano. Ad esempio in Mali i media locali si chiedono quale sia l’utilità di formare i soldati maliani che dall’UE non possono beneficiare un sostegno per ricevere equipaggiamento militare…

In questo paese abbiamo due missioni: la missione di formazione dell’UE in Mali (EUTM) e EUCAP Sahel. Entrambi sono state dispiegate per consigliare, formare e contribuire alla ricostruzione e al rinforzamento delle forze armate e delle forze di sicurezza maliane. Il mandato di queste missioni è stato esteso di due anni, su richiesta dei nostri partner e con il consenso degli Stati Membri dell’UE. Oggi stiamo concentrando i nostri sforzi per regionalizzare queste missioni coinvolgendo tutti i paesi del G5 Sahel.

Riguardo l’assistenza per gli equipaggiamenti militari, dopo aver lanciato una consultazione pubblica, ho presentato una proposta legislativa il 5 luglio scorso per permettere all’UE di allargare il suo contributo agli attori del settore della sicurezza, compreso alcuni molto specifici ai militari.

Il nostro obiettivo è di offrire ai nostri partner i mezzi per avere il controllo della propria sicurezza, governance e stabilità. E’ una condizione essenziale per consentire ai questi paesi di svilupparsi.

Il nostro obiettivo è di offrire ai nostri partner i mezzi per avere il controllo della propria sicurezza, governance e stabilità. E’ una condizione essenziale per consentire ai questi paesi di svilupparsi: senza sicurezza non è possibile sostenere la crescita, gli investimenti e la creazione di posti di lavoro.

A scanso di equivoci, voglio precisare che potremo assistere delle missioni civili o di prevenzione o gestione di crisi, e non missioni coinvolte in combattimenti. Questo comprende la capacità di ristrutturare infrastrutture quali ponti e strade; sostenere operazioni di sminamento di alcune zone; rifornire le forze di sicurezza con semplice equipaggiamento. È Invece totalmente esclusa l’idea di consegnare armi o qualsiasi attrezzatura militare letale.

Non crede che rafforzando la cooperazione tra il G5 Sahel e l’UE si corra il rischio di rafforzare alcuni poteri autoritari del Gruppo a scapito della democrazia e dei diritti umani?

I diritti umani stanno al cuore di tutte le nostre relazioni con i partner.

In ognuno dei paesi nei quali lavoriamo sulle migrazioni e la lotta al terrorismo, abbiamo anche lanciato dei programmi che mirano a rafforzare lo stato di diritto, la società civile e, in alcuni casi, i processi di transizione democratica. La riforma del sistema giudiziario e delle forze di polizie è sempre centrale nelle nostre iniziative in Sahel, in special modo con progetti per favorire un accesso più equo dei cittadini alla giustizia. Di recente, in Niger abbiamo contribuito alla creazione dell’Agenzia nazionale per l’assistenza giuridica e giudiziaria, mentre in Burkina Faso siamo i primi donatori per sostenere le autorità di transizione.

Le nostre relazioni sono fondare su un partenariato paritario in cui nessun tema è tabù: dalla sicurezza alla governance, passando per i diritti umani e all’impatto economico dell’insicurezza attuale, ci confrontiamo attraverso un dialogo franco e trasparente.

In ognuno dei paesi nei quali lavoriamo sulle migrazioni e la lotta al terrorismo, abbiamo anche lanciato dei programmi che mirano a rafforzare lo stato di diritto, la società civile e, in alcuni casi, i processi di transizione democratica. I diritti umani stanno al cuore di tutte le nostre relazioni con i partner.

Lo sviluppo è una parte cruciale della strategia del G5 Sahel. Ma si sa, la sfida fondamentale dello sviluppo sostenibile ruota attorno alla qualità delle relazioni tra istituzioni pubbliche, società civile e settore privato. Che tipo di strategia l’UE implementa per dinamizzare in modo trasparente le relazioni tra questi tre attori, sia a livelli regionale e nazionale, che a livello locale?

La società civile gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo delle società, sia in Europa che in Africa. In ognuna delle mie visite sul continente africano, faccio sempre in modo di incontrare la società civile che appoggiamo e con la quale implementiamo molti progetti.

Di recente ho avuto l’opportunità di dialogare con dei giovani del Sahel per discutere delle azioni concrete sviluppate insieme all’UE a favore della gioventù saheliana. Per noi è molto importante sostenere i paesi di questa regione, con la speranza di offrire nuovi orizzonti ai giovani.

Per questo, è indispensabile anche cooperare con le autorità locali e il settore privato, che gioca un ruolo chiave per la creazione di posti di lavoro e lo sviluppo economico. Per offrire a tutti i giovani africani le opportunità che si meritano, l’Africa dovrebbe creare 18 milioni di nuovi impieghi all’anno. Quest’obiettivo è irraggiungibile se non si coinvolge il settore privato. Stiamo preparando un piano di investimento per l’Africa che sarà presentato in autunno e sul quale stiamo lavorando assieme alla Banca europea d’investimenti e al settore privato.

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