Diritti & Salute

Migrazione sanitaria: il Sud paga, il Nord incassa

L'analisi della Fondazione Gimbe mostra come i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i preaccordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. Per il presidente Cartabellotta «una frattura strutturale destinata a essere aggravata dall’autonomia, con inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute»

di Rossana Certini

In Italia nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro, cifra nettamente superiore ai 3,33 miliardi di euro dell’anno precedente. Il dato emerge dal Report sulla mobilità sanitaria 2021 elaborato dalla Fondazione Gimbe e pubblicato in occasione dell’avvio della discussione in Senato del Ddl Calderoli.

«Le nostre analisi», spiega Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, «dimostrano che i flussi economici della mobilità sanitaria scorrono prevalentemente da Sud a Nord, in particolare verso le Regioni che hanno già sottoscritto i preaccordi con il Governo per la richiesta di maggiori autonomie. E che oltre la metà del valore delle prestazioni di ricovero e specialistica ambulatoriale vengono erogate dal privato accreditato, ulteriore segnale d’indebolimento della sanità pubblica. Questi dati, insieme a quelli sull’esigibilità dei Livelli essenziali di assistenza – Lea, confermano un gap enorme tra il Nord e il Sud del paese, inevitabilmente destinato ad aumentare se verranno concesse maggiori autonomie alle più ricche regioni settentrionali».

Tipologie di prestazioni erogate in mobilità

Lo studio Gimbe rivela come l’86% del valore della mobilità sanitaria riguarda i ricoveri ordinari, in day hospital e le prestazioni di specialistica ambulatoriale. Il 9,4% è relativo alla somministrazione diretta di farmaci e il rimanente 4,6% ad altre prestazioni (medicina generale, farmaceutica, cure termali, trasporti con ambulanza ed elisoccorso).

Mobilità verso le strutture private

Oltre 1 euro su 2 viene speso per ricoveri e prestazioni specialistiche finisce nelle casse del privato: oltre 1.727 milioni di euro, rispetto a circa 1.433 milioni di euro delle strutture pubbliche. In particolare, per i ricoveri ordinari e in day hospital le strutture private hanno incassato circa 1.426 milioni di euro, mentre quelle pubbliche poco più di € 1.132 milioni di euro. Per le prestazioni di specialistica ambulatoriale in mobilità, il valore erogato dal privato è di € 301 milioni, quello pubblico di circa 300 milioni di euro.

Mobilità sanitaria attiva e passiva

Lo studio fa emergere come tra le regioni del Nord e quelle del Sud risulta molto variabile la differenza tra la mobilità attiva, intesa come la capacità di attrarre di pazienti provenienti da altre regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo.

«Quello della mobilità sanitaria», prosegue il presidente della Fondazione Gimbe, «è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi tra le diverse regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del nostro paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale” destinata a essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute».

Il Servizio sanitario nazionale – Ssn garantisce l’assistenza ai cittadini iscritti nelle strutture sanitarie della propria regione di residenza ma ognuno può, comunque, esercitare il diritto di essere assistito, anche, in altre regioni, concretizzando il fenomeno noto come mobilità sanitaria interregionale che, spesso, è determinato dalla diversa capacità dei Sistemi sanitari regionali di rispondere ai bisogni dei propri cittadini. Tutto ciò comporta per i pazienti e i loro familiari un notevole investimento non solo di energie emotivi ma, anche, di risorse economiche.

Dalla Lombardia all’Emilia-Romagna passando per il Lazio sono tante le associazioni e le fondazioni che hanno avviato progetti di accoglienza per donare ai migranti sanitari un luogo accogliente e quanto più familiare capace di alleviare le tante fatiche a cui sono sottoposti. Negli scorsi mesi VITA ha avviato un viaggio tra le esperienze di ospitalità e sostegno verso chi è costretto a spostarsi lontano dal proprio domicilio per potersi curare (in questo pezzo ne segnaliamo alcune).

«Quando il dramma della malattia entra nella tua famiglia, quando il dolore e la paura si impossessano della tua vita e quando per la cura devi lasciare tutto e intraprendere i viaggi della speranza presso altre strutture in città diverse dalla tua, tutto diventa difficile, complicato, logorante. Trovare dove vivere diventa un problema. Ma quando hai la fortuna di essere accolta a Casa Emilia hai risolto parte dei tuoi problemi». Parola di Tina una delle 750mila persone che ogni anno si spostano per ragioni sanitarie. Un popolo, quello degli emigranti sanitari (così li chiamano gli analisti), che si sposta alla ricerca di opportunità di cura migliori, dove ci sono.

Il Servizio sanitario nazionale attraversa una gravissima crisi di sostenibilità che costringe, anche, le regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi. Secondo l’analisi Gimbe le maggiori autonomie già richieste da Emilia Romagna, Lombardia e Veneto da un lato potenzieranno le performance di queste Regioni e, dall’altro, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale. La Fondazione fa notare come una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le segioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose.

Infine, per Gimbe, il DdL Calderoli rimane molto vago sulle modalità di finanziamento, oltre che sugli strumenti per garantire i Livelli essenziali delle prestazioni – Lep, secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale, per questo conclude Cartabellotta: «ribadiamo quanto già riferito il 23 maggio 2023 nell’audizione in prima commissione Affari costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le regioni possono richiedere maggiori autonomie».

Foto di Павел Сорокин/Pexels

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