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Migranti, nessun assedio: in 4 anni 652mila residenti in meno in Italia
È quanto emerge dal Rapporto italiani nel mondo 2024 - Rim, realizzato dalla Fondazione Migrantes e presentato per la prima volta a New York. Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli: «Relegare la questione migrazione al tema dell’irregolarità o della clandestinità, serve solo per deumanizzare e non vedere che dietro il fenomeno migratorio ci sono persone in carne e ossa con le loro speranze»
di Alessio Nisi

«Non ci dobbiamo dimenticare dei volti dei migranti, sia quelli che arrivano nel nostro Paese sia i vostri, quelli dei tanti italiani che sono partiti o che stanno partendo. Ecco perché relegare la questione migrazione al tema dell’irregolarità o della clandestinità, applicando leggi disumane e facendo accordi con paesi terzi per bloccare i flussi, serve solo per deumanizzare e non vedere che dietro il fenomeno migratorio ci sono persone in carne e ossa con le loro speranze». Queste le parole di Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Associazioni Crtistiane Lavoratori Italiani – Acli, a commento del Rapporto Italiani nel Mondo 2024 – Rim, realizzato dalla Fondazione Migrantes, che per la prima volta è stato presentato a New York, presso la Saint Patrick’s old cathedral school.
Accogliere e integrare con diritti e doveri
«In questo modo rischiamo anche di deumanizzare noi stessi», aggiunge Manfredonia, «come se fossimo senza memoria e avessimo dimenticato l’emigrazione italiana, con le fatiche e le umiliazioni subite dai nostri connazionali. L’antidoto oggi è gestire il fenomeno migratorio, quindi accogliere e integrare con diritti e doveri, per creare responsabilità e accettare il contributo che ciascuno può portare.
Modello di pace
Nel corso del suo intervento Manfredonia sottolinea poi: «Siamo cittadini europei di nazionalità italiana e vogliamo rivendicare la nostra appartenenza a un modello di pace, convivenza e sviluppo sociale che passo passo ha accompagnato le nostre generazioni, compiendo un sogno che sembrava impossibile: far vivere in pace, sviluppo e libertà popolazioni che si sono odiate per secoli. Quello è il modello di cittadinanza che vorremmo per il mondo. Agli oltre 6 milioni di italiani all’estero dico: non dimenticateci. Aiutateci a leggere i nostri contesti, esercitate i vostri diritti e doveri. Avete il diritto di voto: la vostra partecipazione alla vita del nostro Paese è troppo importante per perderla».
652 mila residenti in meno in Italia
Secondo il Rapporto Italiani nel mondo 2024 il 23,2% di chi è all’estero ha tra i 35 e i 49 anni, mentre il 21,7% appartiene alla fascia di età 18-34 anni. Ma nello stesso tempo esiste anche una certa mobilità degli over 50 e che, solitamente, viene definita come “mobilità previdenziale”, dimostrata in particolare dal fatto che gli over 65 sono aumentati del 12,9%.
6 milioni gli italiani residenti all’estero. Ma il dato più interessante e che sfaterebbe molte leggende metropolitane sull’assedio dei migranti alle porte dell’Italia è che dal 2020 a oggi, l’Italia conta circa 652 mila residenti in meno, mentre gli italiani residenti all’estero sono oltre 6 milioni. Secondo il ministero dell’Interno, invece, per quanto riguarda gli sbarchi dei migranti nel nostro Paese, nello stesso periodo di tempo, ovvero tra 2020 e 2024, si è raggiunta la cifra di poco superiore a 430 mila persone.
«Ci sono voluti 19 anni perché il Rapporto Italiani nel mondo arrivasse a New York», sottolinea Delfina Licata, curatrice dell’analisi, «nel frattempo i connazionali all’estero sono raddoppiati e in America sono cresciuti di oltre il 70%. Un’America e una New York profondamente cambiate da quel lontano 2006, anno della prima pubblicazione del Rapporto che la Fondazione Migrantes dedica alla mobilità italiana.
Guarire il processo migratorio
Oggi, aggiunge Licata, «siamo diventati una nazione dalle migrazioni plurime e complesse, pienamente protagonisti del cosmopolitismo e della circolazione europea, ma che soffre per una migrazione malata perché unidirezionale. Il lavoro da compiere è quello di guarire il processo migratorio trasformandolo da unidirezionale a circolare, unendo le partenze agli arrivi e ai ritorni. E questo lavoro è innanzitutto culturale. Ma dalla guarigione della ferita migratoria, che vede esaltare la perdita e non l’opportunità, occorre passare alle azioni concrete. Il rapporto non è un progetto in solitaria, ma vive e si fortifica grazie alle reti tra menti pensanti e menti operanti, tra chi analizza e chi trova strategie con cui agire nel tessuto sociale».
«Significa che la verità è che il tema di cui dovremmo occuparci è la perdita di italiani che lasciano il nostro Paese per cercare nuove opportunità», ha detto sempre Manfredonia, «e di sicuro non sono le politiche ‘protezioniste’ sulla migrazione come minaccia e non come opportunità a risolvere il problema, ma semmai a aumentare la probabilità che gli italiani all’estero aumentino»
Prima della presentazione del rapporto, la giornata è iniziata con la Messa, officiata dal presidente della Fondazione Migrantes, mons. Gian Carlo Perego, da don Luigi Portarulo, responsabile della comunità cattolica italiana a New York, da padre Giacomo Costa, accompagnatore spirituale delle Acli Nazionali e da don Giacomo Granzotto, assistente di mons. Perego.
Investire sulla cultura dei diritti sociali
La presentazione del rapporto si è svolta nel primo pomeriggio del 16 marzo con i saluti introduttivi di Paolo Ricotti, presidente del patronato Acli, che ha sottolineato come «il senso della nostra missione qui a New York con la Fondazione Migrantes è investire sulla cultura dei diritti sociali partendo dal lavoro straordinario del Rapporto Italiani nel mondo. Lo facciamo proprio partendo dall’Italia che vive all’estero che, in molti casi, ha scelto di emigrare perché il nostro Paese non è all’altezza delle aspettative». Dopo Ricotti sono intervenuti per un saluto Cristian Di Sanzo, deputato della Repubblica Italiana, Silvana Mangione, vicesegretaria del Consiglio generale degli italiani all’estero – Cgie e il console generale d’Italia a New York, Fabrizio Di Michele.
La riforma della legge sulla cittadinanza
Matteo Bracciali, membro della commissione scientifica del Rapporto Italiani nel mondo e vicepresidente della federazione delle Acli internazionali, si è concentrato sul capitolo dedicato alla cittadinanza. «I numerosi saggi del rapporto sul tema della cittadinanza, messa a confronto in molti paesi del mondo», precisa, «restituiscono una narrazione positiva fatta di persone che vogliono entrare a far parte di una comunità per condividerne i valori, goderne i diritti e ottemperare ai doveri. Questi elementi devono essere alla base della riforma della legge sulla cittadinanza che dopo 33 anni ha bisogno di essere aggiornata al contesto sociale di oggi per dare risposta ai ragazzi nati e cresciuti in Italia che chiedono di essere italiani e per rendere responsabili e consapevoli le nuove generazioni di italiani nel mondo».
La chiusura dei lavori è stata affidata a monsignor Gian Carlo Perego che ha sottolineato come «la cittadinanza è vita, significa dare la possibilità di rigenerarsi ai nostri territori, alle nostre città che stanno morendo. Il nostro Paese ha bisogno di aprirsi a chi desidera una vita migliore per creare generativitá nel tessuto sociale e non di chiudersi provocando la morte di territori e comunità».
L’importanza di fare memoria
Il nostro paese, evidenzia, «ha bisogno di una nuova lettura della propria storia di paese di migrazioni in arrivo e in partenza che non è una sola storia di povertà ma è soprattutto un presente di sacrificio e riuscita, di comunità come quella intorno a Saint Patrick, giovane e dinamica, con il desiderio di stare insieme e riconoscersi in una italianità che viene sicuramente plasmata dalla migrazione, ma che non si allontana dall’affetto delle radici ben salde. Il nostro paese ha bisogno di fare memoria con il volto proiettato non verso le spalle, ma davanti a sé per costruire un futuro in mobilità, partecipativo e partecipato nell’epoca delle migrazioni. Il nostro Paese ha, infine, bisogno di una cultura nuova che parta dallo studio rigoroso del presente che dall’analisi dei dati scientifici ci porti alla narrazione del chi siamo, volti e storie di un popolo in cammino».
In apertura foto di Christian Wiediger per Unsplash
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