Immigrazione e lavoro
Migranti, Mcl: «Rivedere il Decreto Cutro»
Secondo Mcl è urgente rivalutare la normativa, anche per evitare che chi ha diritto alla "protezione speciale" si ritrovi in clandestinità. In considerazione anche del grande bisogno di manodopera del mercato del lavoro e del surplus di offerte rispetto alle quote del "Decreto Flussi" evidenziato dal Click Day. Il presidente Luzzi: «Attenzione al lavoro nero, nelle maglie del sistema si insinua l'illegalità» e si chiede chi controlli che le aziende che hanno partecipato proprio alla presentazione di domande telematiche
Una petizione affinché venga avviata una revisione del “Decreto Cutro” e favorita una maggiore tutela dei diritti delle persone titolari di protezione speciale. È quella che era stata proposta dall’Associazione lavoratori stranieri del Movimento cristiano lavoratori (Als-Mcl) della Sicilia e che oggi viene rilanciata dall’Als-Mcl nazionale, con il sostegno del presidente generale di Mcl, Alfonso Luzzi.
Si tratta di uno dei primi atti della nuova presidenza Als-Mcl guidata da Paolo Ragusa, vista soprattutto la crescente necessità di attirare lavoratori stranieri regolari in Italia e le difficoltà che il Decreto Cutro pone in questa ottica, spingendo verso il rischio di clandestinità un’importante categoria di migranti, cioè i titolari di protezione speciale, per i quali una norma impone il divieto di convertire i permessi di soggiorno per motivi di lavoro.
I dati del Click day
«Il sistema economico del nostro Paese», spiega Paolo Ragusa, presidente di Als-Mcls, «ha un costante bisogno di manodopera, tanto che il Governo nazionale ha aumentato le quote di ingresso dei lavoratori stranieri previste dal “Decreto Flussi”. Quote comunque non sufficienti, visti gli esiti dei click day dello scorso marzo diffusi dal ministero dell’Interno, che evidenziano 690 mila domande presentate a fronte delle 151mila quote complessivamente previste dal provvedimento per l’ingresso in Italia di lavoratori non comunitari».
«Tuttavia», aggiunge Ragusa, «alcune categorie di migranti vengono spinte verso il rischio di clandestinità. È il caso dei titolari di protezione speciale, che già rappresentano una potenziale risorsa occupazionale per l’economia italiana. Ma è il caso anche, per fare un altro esempio, dei lavoratori che, dopo aver avuto l’ok ad entrare regolarmente a seguito di un click day, non hanno più la disponibilità dell’azienda ad assumerli. Pensiamo che dovrebbe essere permesso loro di poter indicare un nuovo datore di lavoro, così da non perdere l’occasione di impiego e rischiare di farli rimanere clandestinamente, e che dovrebbe essere prevista una multa all’azienda che non li ha assunti pur essendosene presa l’impegno, laddove non sussistano motivazioni oggettive. L’impegno, logicamente, dovrebbe essere quello di aiutare queste persone, ma senza alimentare percorsi potenzialmente fraudolenti».
«Rilanciamo quindi questa petizione online», conclude Ragusa, «affinché venga rivista la norma presente nel ‘Decreto Cutro’, ma anche per sensibilizzare e coinvolgere il maggior numero di persone possibile, perché questi temi non riguardano soltanto chi vuole venire a lavorare regolarmente in Italia, ma il futuro di tutti noi».
Il presidente Luzzi: «Alzare il livello
di guardia su lavoro nero e grigio»
«È necessario alzare il livello nella guerra al lavoro nero e grigio», dichiara il presidente generale Mcl Alfonso Luzzi, «soprattutto quello che riguarda i lavoratori provenienti dall’Estero e migliorare quelle norme del nostro ordinamento giuridico attraverso le cui pieghe possono infilarsi comportamenti irregolari o truffaldini».
«Nell’attuale gestione del decreto flussi», continua Luzzi, «ci sono buchi nei quali si infila la criminalità organizzata. Chi verifica se le aziende che partecipano al click day procedono poi effettivamente all’assunzione dei lavoratori richiesti? Un maggior ruolo da assegnare alle associazioni di lavoratori come l’Als-Mcl consentirebbe di tracciare il loro percorso di avvicinamento e poi di inserimento lavorativo».
La foto in apertura è di Antonino D’Urso/LaPresse.
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