Welfare

Migranti, gli enti denunciano le falle dell’accoglienza

"Il sistema attuale non funziona, è urgente un cambiamento per far fronte alle nuove emergenze", denuncia il responsabile immigrazione di Caritas italiana. Nei giorni scorsi il boom di persone in arrivo soprattutto dalla Siria ha mandato in tilt le Prefetture, che per correre ai ripari hanno chiesto ai privati di trovare migliaia di posti letto in poche ore

di Daniele Biella

Così non si può andare avanti. “L’accoglienza all’italiana ha raggiunto una confusione insostenibile. È urgente ordinare il sistema per una risposta rapida ma soprattutto efficiente, anche perché gli arrivi dal Mediterraneo sono in forte aumento”. Oliviero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana, non usa mezzi termini, e con lui tutto il mondo della cooperazione sociale che si è dato disponibile ad accogliere i migranti, per far capire al Ministero dell’Interno che la gestione attuale proprio non funziona: chiamate improvvise dalle Prefetture che chiedono agli enti di tutta Italia di trovare alloggio per decine di persone in 24-48 ore (arrivate nei giorni scorsi sulle coste siciliane, la maggior parte dalla Siria), criteri diversi di accoglienza a seconda degli arrivi che generano notevoli difficoltà per gli operatori, e disagi da parte di tutti, famiglie straniere in arrivo e un buon numero di italiani che, spesso fomentati da propagande xenofobe, vede con preoccupazione la nuova emergenza sbarchi.

Cominciamo a mettere le cose in chiaro: chi chiede una decisa riorganizzazione del sistema di accoglienza, anche tramite lettere pubbliche (vedi quella di Caritas italiana, Cnca, Arci e Fondazione Migrantes  e quella della Rete asilo Lombardia), sono i tanti enti che hanno lavorato virtuosamente con l’Ena, l’Emergenza Nord Africa, il programma voluto dall’ultimo governo Berlusconi che dal giugno 2011 a fine febbraio 2013 ha gestito, non senza difficoltà e polemiche (soprattutto per l’eccessiva diaria di 46 euro al giorno per profugo) l’arrivo di 20mila migranti in fuga soprattutto da Egitto, Tunisia e Libia. Virtuosamente perché tramite l’accoglienza diffusa nei territori, l’accompagnamento legale e sanitario, i corsi di lingua hanno facilitato l’integrazione, a differenza dei molti privati che ne hanno approfittato ospitando i profughi in alberghi  e lasciandoli spesso soli a sé stessi, alimentando l’allarme sociale.

Ma di cosa stiamo parlando nel concreto? L’esempio-simbolo ci capita quasi in diretta una mattina di qualche giorno fa: “Ho appena ricevuto una chiamata dalla Prefettura, ci chiedono entro sera di trovare alloggio per 80 persone sbarcate da poco”, riporta Enrico Davolio, presidente del consorzio CS&L, che nella provincia di Monza e Brianza, in particolare nel territorio del Vimercatese, è parte della rete di accoglienza che si è già fatta le ossa con l'Ena. A sera le richieste scenderanno a 40 e il posto verrà trovato, ma il problema rimane: “come possiamo lavorare bene in simili condizioni? Serve un piano preciso che stabilisca le modalità dell’accoglienza”, sottolinea Davolio. Il problema, superate le strumentalizzazioni del passato, non è il sì o no all’accoglienza, ma il come: da una parte il Governo ha aumentato i posti annuali dello Sprar, sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati (notizia positiva, anche perché allinea un po’ di più l’Italia con i numeri degli altri maggiori Paesi europei), passando da 4 a 13mila, dall’altra, con una circolare diffusa l’8 gennaio 2014, ha preannunciato un ulteriore piano d’azione per chi fosse rimasto fuori da quel numero, stimando almeno 40mila arrivi durante quest’anno. Dall’annuncio di quel piano, fino al giorno stesso delle chiamate per accogliere d’emergenza i nuovi arrivi, più nulla: la circolare che chiede agli enti di ‘attivarsi’ è infatti del 19 marzo, e riporta proprio l’arrivo di “3.273 stranieri” in poche ore da accogliere in 59 province italiane, 40 persone per ciascuno (leggi la circolare del ministero a questo link del progetto Meltingpot Europa).

Questi nuovi arrivi che fuggono dalla guerra e persecuzioni, pur avendo le carte in regola per ottenere l’asilo, devono seguire le procedure prima di essere inseriti nel programma Sprar. Qui sta il cortocircuito, ovvero come gestire il limbo di almeno sei mesi di attesa, dato che “i Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) sono pieni”, sottolinea Forti di Caritas italiana.  E’ saltato il sistema, bisogna correre ai ripari”. Come? “In primo luogo sbloccare ulteriori 6mila posti previsti per le emergenze, tramite un provvedimento del ministero dell’Economia che assegni i fondi già stanziati: non si capisce perché non venga attuato, data la situazione attuale”. Poi “avviando un Tavolo nazionale di coordinamento che trovi una linea comune per gestire ogni passo dell’accoglienza, arrivando a un piano nazionale di accoglienza”. L’importante è scongiurare quello che nel caso di Ena è stato chiamato il ‘business dell’accoglienza’: la diaria in tutti i casi è scesa a 30 euro (la stessa cifra dello Sprar), e va bene così, perché si può fare un buon lavoro anche con meno risorse, ma solo se ben coordinato”, indica Davolio di CS&L, che poi suggerisce una strada da percorrere per il breve-medio termine: “trasformiamo il concetto dei Cara, ovvero aumentiamo le strutture ma ciascuna con numeri ridotti, in concerto con gli enti locali, inserendo man mano i migranti nel tessuto sociale”. Ma l’impatto sulla popolazione residente? “Con numeri bassi per ciascun territorio, dove sta la questione? L’abbiamo sperimentato con l’Emergenza Nord Africa, ha funzionato senza alcun tipo di problema sociale”.

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