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Migranti: è il Mediterraneo la rotta più mortale

Lo conferma l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni. Circa 14.469 persone hanno perso la vita su questa rotta dal 2014 ad oggi, e questi sono solo i numeri confermati, di moltissimi altri si sono perse le tracce

di Ottavia Spaggiari

Sono oltre 22.500 i migranti morti o scomparsi dal 2014 in tutto il mondo. 3.110 solo nei primi sei mesi del 2017 e a guadagnarsi il tristissimo primato di rotta più pericolosa al mondo è il Mediterraneo dove il numero dei decessi continua ad aumentare, nonostante il numero degli arrivi, da giugno ad oggi, sia diminuito.

Lo conferma l’ultimo rapporto dell’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni (OIM), Fatal Journey, letteralmente Viaggi mortali, secondo cui il blocco delle frontiere lungo la rotta balcanica e l’accordo Europa-Turchia del 2016 ha spinto un numero sempre maggiore di persone a cercare di attraversare il Mediterraneo centrale per raggiungere l’Italia. «Il tasso dei decessi è aumentato dal 1,2% dello scorso anno, al 2,1%» si legge nel report dell’OIM «Parte di questo aumento è dovuto ad un aumento dei migranti nella rotta più pericolosa – quella del Mediterraneo centrale – dove nel 2016, è morta 1 persona su 49».

Da gennaio 2014 fino alla fine di giugno 2017, circa 14.469 persone hanno perso la vita nel Mediterraneo, una media di 11 esseri umani al giorno e questi sono solo i numeri che conosciamo. Vi è poi la cifra sconosciuta delle vittime di cui non si ha notizia, dei corpi che non sono mai stati ritrovati, come sottolinea William Lacy Swing, direttore generale dell’OIM: «Anche se la raccolta dei dati è migliorata negli ultimi tre anni, ci sono molte lacune su quanto sappiamo dei migranti scomparsi. Spesso mancano informazioni di base come il sesso o l’età di chi è morto o scomparso. Il numero dei corpi che vengono recuperati o identificati rimane spesso molto basso».

Le cifre dunque potrebbero essere molto più alte ma la difficoltà nella documentazione del fenomeno, secondo Swing è anche di tipo tecnico e istituzionale. «La sfida non è solo legata alla mancanza di dati, ma in alcuni casi anche alla poca disponibilità da parte delle autorità di raccoglierli e dalle mancanze nelle risorse e nel know-how». Una mancanza che, se da una parte si traduce nella difficoltà di raccogliere informazioni più precise, utili per lo sviluppo di misure di prevenzione, dall’altra rappresenta una tragedia impossibile da elaborare per ogni singola famiglia lascia indietro, nei Paesi d’origine che, come si legge nel report «può passare anni a cercare informazioni sui propri cari, in un limbo».

Oltre 120mila persone sono arrivate in Europa via mare quest’anno. L’82% ha attraversato il Mediterraneo partendo dalla Libia per arrivare in Italia e se Tripoli, in accordo con l’Europa, ha iniziato a bloccare gli arrivi, la sorte di chi non riesce a tentare la via del mare e rimane nei campi in Libia non è certo più sicura, come aveva spiegato a Vita.it Giorgia Linardi, Responsabile Affari Umanitari di Medici Senza Frontiere (MSF): «Siamo in mare da un anno con l’Acquarius e abbiamo soccorso migliaia di persone, tutti ci hanno raccontato storie di violenza inimmaginabili. Non c’è nessuno che abbia descritto la Libia come un luogo sereno. I loro corpi ne sono testimoni. Abbiamo visto i segni della tortura, cicatrici di sigarette, di armi da fuoco. Abbiamo ascoltato ripetutamente testimonianze di uomini che hanno subito di tutto, donne stuprate, minori venduti al mercato come schiavi».

Foto: Open Arms

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