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MIGRANTI. Avvenire: “Il mancato soccorso ricorda la Shoah”

Duro editoriale del quotidiano della Cei sulla presunta tragedia dei 75 morti al largo di Lampedusa, raccontata dai cinque superstiti salvati ieri. "L'Occidente a occhi chiusi viola la legge del mare: le vite si salvano"

di Daniele Biella

E’ sulle prime pagine di tutti i giornali. E non può che scuotere le coscienze di chiunque cerchi di capire quello che è successo nelle acque del Mediterraneo al barcone con a bordo 80 disperati, eritrei cristiani, che volevano raggiungere le coste europee, italiane. E che alla fine sono rimasti solo in cinque, salvati ieri giovedì 20 agosto 2009 dalla Guardia di Finanza a dodici miglia da Lampedusa. Più di venti giorni nelle acque tra la Libia e l’Italia (la data presunta della partenza è il 29 luglio, come conferma la comunità eritrea italiana, che stava aspettando con ansia notizie dell’equipaggio, dei familiari), e “almeno dieci imbarcazioni incrociate, nessuna delle quali ci ha prestato soccorso, solo un peschereccio ci ha dato da bere“, denuncia uno dei cinque superstiti (una donna, due uomini e due minorenni), “per questo gli altri 75 sono morti”.

Una nuova, assurda tragedia del mare. Che si poteva evitare, secondo molti, a cominciare dall’Avvenire, il quotidiano dei vescovi, che oggi ha dedicato al fatto la foto di copertina e un forte editoriale, a firma di Marina Corradi, dal titolo ‘Chi non vuole vedere e chi muore’. “Decine e decine di eritrei inabissati come una povera zavorra di ossa in fondo a quello stesso mare in cui a Ferragosto incrociano navi da crociera, traghetti, e gli yacht dei ricchi”, è una delle prime efficaci immagini messe su carta dalla giornalista. “Noi del mondo giusto, che su quelle stesse acque d’agosto ci abbronziamo, non sappiamo quale spaventevole nemico siano le onde, quando il motore è fermo, e l’orizzonte una linea vuota e infinita. Non possiamo sapere cosa sia assistere all’agonia degli altri, impotenti, e gettarli in acqua appena dopo l’ultimo respiro. ‘Altri’ che sono magari tuo marito o tuo figlio“.

L’editoriale prosegue chiamando in causa le responsabilità dei Governi occidentali, compreso quello italiano, che dallo scorso maggio ha attivato la politica dei ‘respingimenti’ in alto mare per le barche di migranti irregolari provenienti dalle coste africane: “Nessuna politica di controllo dell’immigrazione consente a una comunità internazionale di lasciare una barca carica di naufraghi al suo destino. Esiste una legge del mare, e questa legge ordina: in mare si soccorre. Poi a terra, opereranno altre leggi: diritto d’asilo, accoglienza, respingimento. Poi. Ma le vite, si salvano”.

Invece, la sciagura, raccontata dai ‘fortunati’, i vivi per miracolo, si è compiuta facendo emergere un’altra legge non scritta, “la nuova legge del non vedere. Come in un’abitudine, in un’assuefazione. Quando, oggi, leggiamo delle deportazioni degli ebrei sotto il nazismo, ci chiediamo: certo, le popolazioni non sapevano; ma quei convogli piombati, le voci, le grida, nelle stazioni di transito nessuno li vedeva e sentiva? Allora erano il totalitarismo e il terrore, a far chiudere gli occhi. Oggi no. Una quieta, rassegnata indifferenza, se non anche un’infastidita avversione, sul Mediterraneo. L’Occidente a occhi chiusi”, è la decisa sentenza dell’editorialista. Che conclude: “Cinque naufraghi sono arrivati a dirci di figli e mariti morti di sete dopo giorni di agonia. Nello stesso mare delle nostre vacanze. Una tomba in fondo al nostro lieto mare. E una legge antica violata, che minaccia le nostre stesse radici. Le fondamenta. L’idea di cos’è un uomo, e di quanto infinitamente vale”.


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