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Migranti: A largo dell’Indonesia un ping-pong mortale di vite umane

Un’emergenza umanitaria, è quella che stanno attraversando i migliaia di migranti abbandonati in mare dai trafficanti, in seguito ad un giro di vite sull’immigrazione da parte del governo tailandese. Le vittime, provenienti dal Bangladesh e da Myanmar sono bloccate in mare senza cibo, acqua e servizi sanitari, mentre Malesia, Indonesia e Thailandia rifiutano di intervenire

di Ottavia Spaggiari

Si tratta di un altro mare, molto lontano da noi, eppure è una storia che abbiamo già sentito troppe volte, quella dei 700 migranti provenienti dal Bangladesh e da Myanmar, che sono stati salvati durante un naufragio a largo delle coste indonesiane. Secondo la BBC un’altra barca invece sarebbe stata rispedita in mare dalla marina militare e non si hanno tracce di un’altra imbarcazione che è stata allontanata dalle acque tailandesi.

Lo Human Rights Watch ha definito un ping-pong mortale di vite umane, quello che si sta consumando nel Mar Andamano e nello Stretto di Malacca, che separa Sumatra dalla Malesia. In queste acque migliaia di migranti sono stati abbandonati, senza cibo, acqua e servizi sanitari adeguati, dopo che i trafficanti si sarebbero rifiutati di proseguire il viaggio e attraccare, in seguito ad un giro di vite da parte del governo thailandese.

Il 10 maggio oltre 2 mila persone sfinite erano finalmente approdare a Langkawi in Malesia e a Aceh in Indonesia, dopo settimane passate in mare, in cui hanno dichiarato di aver sofferto la fame e la sete. Lo Human Rights Watch ha chiesto ai governi di Thailandia, Malesia e Indonesia di smettere i respingimenti e aiutare le migliaia di persone che in queste ore stanno rischiando la vita in mare. In un’intervista all’agenzia AFP il capo della polizia di Aceh, in Indonesia, ha dichiarato che, secondo lui, i passeggeri della barca tratta in salvo erano probabilmente stati allontanati dalle acque della Malesia, dalla marina malesiana e poi portata finalmente a terra da un’imbarcazione di pescatori.

La politica ufficiale della Thailandia, della Malesia e dell’Indonesia infatti è respingere sistematicamente i migranti che cercano di arrivare, una politica, definita dalle Nazioni Unite, “orribile”.

Le vittime sono i migranti bengalesi che fuggono dal Paese principalmente per questioni economiche e i rohingya, una minoranza etnica musulmana che vive principalmente in Myanmar, non riconosciuta dallo Stato e a cui, in molti casi, vengono negati i diritti fondamentali alle cure, all’istruzione e alla libertà di movimento.  

L’inviato della BBC ,Jonathan Head, ha raccontato che dei rappresentanti della marina militare erano saliti a bordo di una delle barche dei migranti, avevano distribuito un po’ di acqua e cibo ai passeggeri e poi avevano dato ordine di allontanarsi dalle acque nazionali. Per non fare avvicinare la barca alle coste, un elicottero ha addirittura lasciato cadere in mare delle scorte alimentari e le persone si sono dovute tuffare per recuperare il cibo.

Il portavoce della Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha definito queste azioni “incomprensibili e inumane”.

Non si sa ancora esattamente quante siano le imbarcazioni coinvolte dell’emergenza, alcune di queste però sono in viaggio già da alcuni mesi e i passeggeri costretti a vivere in condizioni terribili, si stima che molti abbiano bisogno di assistenza medica.

La Thailandia ha convocato per il 29 maggio un summit per discutere dell’emergenza. Myanmar ha già  dichiarato che, con tutta probabilità, non parteciperà all’incontro.

Dall'ultima escalation della violenza nel conflitto con i Rohingya nel  giugno 2012 più di 100.000 persone appartenenti a questa minoranza di fede musulmana sono fuggite dalla Birmania. Da gennaio 2015 ad oggi i Rohingya fuggiti dal paese sono circa 25.000. Attualmente si stima che i Rohingya dispersi in alto mare siano circa 6.000. Se i paesi circostanti continueranno a rifiutarsi di accoglierli, rischiano la morte per fame, sete e annegamento.

Foto: Ulet Ifansasti/Getty Images

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