Mondo

Migliaia di bambini salvati dalla violenza. Miracolo a Soweto school

Nel Paese dove 89 bambini vengono violentati ogni giorno, c’è chi non si è arreso. Come questa donna eccezionale.

di Redazione

Soweto, ottobre Lebohang è l?allieva tipo di una scuola molto speciale. Sentite la sua storia: nel 1998 viveva a Soweto, da sola con il fratello maggiore. Il padre non lo ha mai conosciuto, la madre se n?era andata di casa per trasferirsi dal nuovo fidanzato. Una mattina Lebo s?accorge di non avere il biglietto per recarsi a scuola. Bussa al vicino. Il quale in cambio del biglietto la obbliga a sottomettersi a violenza sessuale. Lebo resta incinta. Vorrebbe confidare a qualcuno il suo dramma. L?unica che le apre la porta è Mama Jackey Maroaanye, una donna temeraria che da qualche anno ha aperto una scuola nell?ex ghetto. Lebo vorrebbe abortire. Mama Jackey la convince a tenersi il bambino: «Forse il bambino che hai nella pancia cambierà la tua vita». Così è nato Kgomoleno, che nella lingua di Lebo significa: «Questa volta è meglio». I figli della colla Ma chi sono gli allievi della scuola di Mama Jackey? Sono ragazzini di tutte le etnie, gli zulu, i xhosa, i bantu e le altre che il regime dell?apartheid ha tenuto rigidamente separate; vengono da famiglie distrutte dall?Aids, dall?alcolismo e dalla disoccupazione. In tre anni ne sono passati migliaia attraverso queste aule. Qui ogni giorno si insegna a studiare, a cucinare e a fare ginnastica e soprattutto a «sviluppare i propri talenti personali per darsi valore», come spiega con passione Mama Jackey. Eppure, per realizzare questo che ha battezzato Progetto Ithutheng Trust, non ha ricevuto finanziamenti da nessuno. E una pacca sulle spalle di incoraggiamento da Nelson Mandela. L?Angelo di Soweto, come la chiamano da queste parti, non si è data mai per vinta. Ha accolto centinaia di figli di questa ?generazione perduta?: sniffatori di colla, rapinatori bambini e stupratori in erba. Sì perché, se possibile, per i maschi è anche peggio di quanto abbiamo raccontato della piccola Lebo: «Loro sono insieme vittime e carnefici», racconta Mama Jackey. «Sono stati violentati e hanno imparato che è così che si comportano gli uomini. Hanno a loro volta stuprato perché è l?unica cosa che è stata loro insegnata. Poi, quando si sono ritrovati qui, a contatto con le ragazze, hanno capito. Ora devono superare un doppio trauma». Parlate bambini Molti di loro non riescono a parlarne, altri ripetono ossessivamente la loro storia a chiunque sia disposto ad ascoltare, ma la maggior parte si confida solo con lei, con Mama Jackey che li ascolta perché, come spiega, «parlarne fa bene, è un modo per rifiutare il modello di violenza e di sopraffazione familiare. Ma la cosa più importante è che si rendano conto del proprio valore. Un bambino abusato pensa di non valere niente, pensa che ciò che gli è successo sia soltanto colpa sua. Forse non potranno mai guarire del tutto da un trauma del genere ma, se vengono aiutati, questi ragazzi possono trasformare la loro disperazione in energia e la loro rabbia nella capacità di aiutare chi passa il loro stesso inferno». è per questo che Mama Jackey è particolarmente soddisfatta dei 45 ragazzi che, grazie al sostegno di un?associazione statunitense, sono stati ammessi alla New York University per un corso di perfezionamento: «Sono partiti sentendosi orgogliosi delle aspettative che la scuola aveva riversato su di loro e sono tornati forti e fiduciosi». è a questi ragazzi che Mama Jackey affida la continuità del proprio lavoro: spedendoli in altre zone disastrate del Sudafrica oppure affidando loro la linea telefonica d?emergenza cui le vittime degli abusi possono rivolgersi per chiedere aiuto. La comunità di Soweto riconosce il valore del progetto e lo sostiene sotto forma di aiuto economico che risulta evidente dal fatto che la scuola non è mai stata depredata: «Proprio qui, dove ora sorgono le classi, stupri e violenze si susseguivano giorno e notte. Da quando c?è la scuola la criminalità nella zona si è di molto ridotta», racconta Mama Jackey, «ed è per questo che la comunità ci aiuta». Ma a casa no Un piccolo supermercato locale ha regalato il guardaroba per la ginnastica e il cibo che i ragazzi stessi cucinano in mensa. L?ambasciatore sud coreano ha provveduto ai telefoni del centralino. Invece dal 2000 il governo ha tagliato ogni sovvenzione. Per questo non si può fare altro, ogni sera, che rimandare i ragazzi a casa. «Siamo una scuola, non un centro di accoglienza», spiega Mama Jackey. «Ogni sera i ragazzi devono tornare dalle loro famiglie disastrate e violente. Ogni sera c?è qualcuno che piange e io piango con loro». Perché a Soweto andare a scuola è il sogno di ogni bambino. Sabina Morandi


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