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Michele Serra: “Leva civica obbligatoria? È necessaria”
Il popolare editorialista di Repubblica e L’Espresso appoggia il Manifesto per un Servizio Civile Universale lanciato da Vita e rilancia la proposta e l'iniziativa
Diritti, ma anche doveri. La rinascenza di un Paese che langue nella crisi passa anche, e soprattutto, attraverso la presa di coscienza –da parte dei politici, ma prima ancora da parte della gente qualunque- che un cittadino è tale solo se impara a sentirsi parte di una comunità, contribuendo coi mezzi che ha a disposizione al raggiungimento del benessere collettivo. Questo è lo spirito che anima il Manifesto per un Servizio Civile Universale, apparso sulle colonne di Vita nel febbraio 2012. Serra non era a conoscenza di questo documento, ma per una sorta di “coincidenza significativa” –come l’avrebbe definita Jung- è capitato che in due occasioni, nell’ angolo delle lettere che cura per Il Venerdì di Repubblica, abbia rilanciato le idee del Manifesto. La brevità della rubrica gli ha consentito di essere efficace come sempre, ma non abbastanza approfondito nelle argomentazioni. L’intervista qui di seguito è un’occasione per chiarire meglio la sua posizione riguardo a un tema che, pur essendo colpevolmente trascurato dai media, è di estrema attualità.
Lei parla di «obbligo di leva civile». Perché è necessario affrontare questo argomento nell’Italia di oggi?
Perché la parola “doveri” è importante quanto la parola “diritti”. Fu Willy Brandt, se non ricordo male, a dire che accanto alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ci vorrebbe anche una Dichiarazione universale dei doveri. E Brandt non era certo un pensatore autoritario.
Non c’è il rischio che i giovani, per indole contrari a ogni forma di coercizione, reagiscano con perplessità a una simile proposta?
È possibile, ma va messo nel conto. Anche andare a scuola è una “coercizione”, ma è parte indispensabile dell'ingresso di un bambino, di un ragazzo nella vita della comunità. Tutto sta nel far capire che ci sono “coercizioni” stupide e inutili, e “coercizioni” utili e intelligenti.
Crede che il Parlamento, nella fase attuale delle ‘larghe intese’, abbia i numeri e la serenità per portare avanti una sfida così importante?
Le “larghe intese”, nonostante la buona volontà di Gianni Letta, non hanno facoltà di mettere mano a niente di determinante e di strutturale. Sono una contingenza passeggera. È perfino crudele chiedere a una maggioranza del genere di pronunciarsi su qualunque tema di sostanza.
Quali sono le colpe della Sinistra nel calo vertiginoso delle adesioni al Servizio Civile?
La colpa della Sinistra è una sola, e sempre la stessa: non credere nelle poche o tante idee giuste delle quali è latrice. Questo la rende confusa, esitante, poco credibile. Un rilancio in grande stile dell'idea stessa di Servizio Civile -non importa se di leva o facoltativo- la aiuterebbe non poco a recuperare un'identità credibile.
La retorica militarista, di cui il nostro Paese è pregno, è una delle concause del disinteresse verso i temi del volontariato?
Forse sì, ma sarebbe sbagliato contrapporre una retorica uguale e contraria. E poi non credo proprio che l'esercito italiano, oggi professionale, possa avere qualcosa da perdere in un eventuale sviluppo del Servizio Civile. È il concetto di “servizio” in genere ad avere bisogno di rafforzarsi.
Ha avuto modo di constatare personalmente -nel racconto di familiari, amici o conoscenti-l’importanza della leva civile?
Qualche anno fa sì, nell'esperienza di amici, anche nella lotta non facile degli obiettori di coscienza. Oggi molto meno. È un argomento del quale si parla poco. Ma quando l'ho riportato sotto i riflettori, nella mia rubrica della posta sul Venerdì di Repubblica, ho ricevuto decine di lettere.
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