DI ROBERTA PASERO
C’è una fotografia celebre dietro la scrivania di Michele De Lucchi che nulla ha a che fare con il suo mestiere di designer ma che ben rappresenta la sua filosofia professionale e umana. Ma è una istantanea nella quale lui ritrova tutti i propri valori di riferimento, professionale e umani. E’ la foto in cui Fausto Coppi e Gino Bartali si passano la borraccia che tanto fece discutere i sostenitori dei due campioni. De Lucchi, 50 anni, è nome di primo del design italiano, è infatti convinto che la competitività va sempre affrontata con lealtà e amicizia. Con questo spirito si è reso protagonista in movimenti come Alchimia a Memphis, è diventato responsabile del design di Olivetti, ha disegnato famosi oggetti per Kartell e Dada Cucina, ed ha pure progettato edifici ai quattro angoli del mondo. Recentemente è stato chiamato per una riqualificazione delle centrali Enel e per la ristrutturazione degli uffici delle Poste Italiane
Nel suo studio milanese, tutto è improntato alla sobrietà: una scaffalatura metallica di 12 metri stracarica di libri. Un grande tavolo da lavoro formato semplicemente da due piani dicompensato e sostenuto da gambe color verde antiruggine. E sopra un vaso dove ogni giornol’architetto, che al prossimo Salone del mobile presenterà i suoi nuovi oggetti per Poltrona Frau e Artemide, personalizza con un fiore di campo oppure un ortaggio, una foglia o un ramo secco. Qualcosa, comunque, che rimandi sempre alla natura. E poi ecco un barattolo vuoto di marmellata pieno d’acqua per intingere i pennelli, scatole di latta porta matite e colori. E qualche ricordo appeso alla parete. Oggetti che vanno e vengono in uno studio a fisarmonica, dove lo spazio diventa trasformista e segue l’andamento dello spirito, del suo spirito. Perchè nulla, mai, vada sprecato.
Vita: Architetto, dove le nascono le sue idee?
De Lucchi: Dipende. Se devo progettare grandi edifici il mio habitat sono gli studi di Milano e di Roma. Ma se ho bisogno di pensare a qualcosa di piccolo che abbia al centro l’uomo e i suoi vantaggi, allora il mio rifugio è la mia casa sul Lago Maggiore e presto lo sarà l’edificio industriale che sto ristrutturando ad Angera. Questo diventerà il luogo dove isolarmi, dove il tempo del pensiero si potrà far largo più facilmente perchè sarà a contatto con la natura. Semplicemente credo che si debba dare alla propria vita, alle proprie riflessioni, non un unico palcoscenico, un solo fondale, ma cambiare più volte angolazione, punto di vista, scegliendo spazi differenti a seconda delle momentanee inclinazioni dello spirito.
Vita: Lei è particolarmente sensibile a tutte le questioni ecologiche. Come incide sul suo lavoro questa sua coscienza??
De Lucchi: E’ ancora quella del vecchio contadino. Che quando tagliava un albero ne faceva prima la trave maestra per la sua casa, poi il palo della scala, poi ancora lo stipite della porta e la gamba del tavolo. E all’ultimo se avanzava qualcosa lo bruciava. Niente andava sprecato, tutto si utilizzava sino alla fine.
Vita: Ma il design di oggi lavora in un mondo molto diverso da quello contadino, dove lo spreco impera…
De Lucchi: Indubbiamente. Anche se il problema non è riciclare, ma riutilizzare. Cosa non facile per l’industria, che pur non va demonizzata. Per quanto mi riguarda, io insisto nell’utilizzare materiali non tanto di per sè ecologici ma che possono essere rigenerati, come i metalli o l’alluminio. Eppure lo spreco esiste dappertutto. Lo sperimento ogni giorno.
Vita: In quali ambiti, per esempio?
De Lucchi: Lavorando nel campo dell’industria e dell’edilizia mi sono reso conto che le materie che si sprecano di più sono quelle immateriali, l’energia, prima di tutto. Qualche esempio: la resa medio di un’automobile è del 30%, il resto diventa calore, smog, viene buttato. Le centrali elettriche ad alto rendimento, quelle a ciclo combinato per cui il vapore viene rigenerato per far funzionare le turbine rendono appena il 52-56%. Ma non è soltanto l’energia, è anche lo spazio ad essere sprecato e spesso è colpa di noi architetti che non sempre lo rendiamo flessibile, adatto alla nostra vita e che non riusciamo a dargli identità di contemporaneità.
Vita: Lei prima ha accennato alla differente identità dell’artigianato. Ma l’artigianato può trovare ancora uno spazio, che non sia quello della nicchia a portata soltanto di pochi?
De Lucchi: Vedo una funzione strategica e decisiva per l’artigianato che dovr3bbe essere il laboratorio di ricerca dell’industria, che dovrebbe sfruttarne il talento umano, la ricchezza tutta italiana nello sperimentare nuove forme, nuovi materiali senza per questo porsi in antitesi all’industria. E’ qualcosa di complementare in cui io credo moltissimo, perchè l’artigianato lavorando nella scala dell’uomo, in quella che si chiama sostenibilità, e rispettando la natura, è altamente ecologico.
Vita: E’ per questo che ha fondato una sua impresa, la
Produzione Privata, che ha ben poco di industriale e dove nascono pezzi che utilizzano tecniche e mestieri artigianali?
De Lucchi: Infatti. E’ stata un’esigenza nata 11 anni fa quando si esaurì l’esperienza di Memphis. Volevo mettere insieme i miei pensieri, creare oggetti sperimentali da recuperare alle mode e realizzati dagli artigiani, di Murano per il vetro, di Carrara per lavorare il marmo, della Brianza per l’ebanisteria. Con mia moglie Sibylle aprii Produzione Privata e la divisi in laboratori, dal metallo al marmo, per realizzare lampade, sedie, candelabri, vasi da fiore, pezzi quasi da collezione, e tutto quanto avesse a che fare con la centralità dell’uomo nella vita comune di tutti i giorni.
Vita: Lei sta riqualificando alcune centrali Enel: come riesce a conciliare la tecnologia, le caldaie alte oltre cento metri, con questa sua idea della centralità dell’uomo?
De Lucchi: Salvaguardando le proporzioni complessive e facendo in modo che l’uomo riesca comunque a non essere sopraffatto dalle macchine; reinventando gli uffici in modo che siano molto alti, attraenti, e centrati sull’essere umano.
Vita: Ma un architetto può avere tanto potere da mettere da mettere d’accordo industria e ecologia?
De Lucchi: Innanzitutto è importante cominciare a dibatterne all’interno dell’industria. Affrontare le questioni naturalmente da un punto di vista normativo, ma anche iniziare a valutare alternative nella scelta dei materiali. Passo per passo si crea una sensibilità diversa. I designer oggi sono degli operatori di equilibrio, poiché equilibrano i valori tecnologici con i valori umani; non sono degli artisti stravanti. Devono sapere diventare degli artisti stravaganti in tutti quei casi nei quali i prodotti hanno bisogno di comunicare qualcosa in più della loro stretta funzionalità. Ad esempio nel caso della tecnologia, spesso, quello che devono comunicare è molto preciso e concreto.
Vita: Ma per lei quando un oggetto è davvero ecologico??
De Lucchi: Concordo con l’idea di Ettore Sottsass: ecologia è creare un oggetto e far sì che venga curato, amato da chi lo possede. E’ far sì che la natura sia dominata sempre con saggezza responsabile e morale, evitando le speculazioni e non generando belve ferite.
Vita: Quale suo oggetto rappresenta meglio questa filosofia?
De Lucchi: Una sedia che ho appena disegnato per la mia Produzione Privata: di legno naturale, nemmeno verniciata, che verrà macchiata dalle mani di chi la utilizzerà. Perchè la patina più bella che può avereun oggetto è proprio la patina dell’uomo, la patina del tempo.
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