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Miccoli (Coopi): “La cooperazione ha bisogno di un approccio sovranazionale”

In vista del Coopi Meeting - riunione tra i responsabili dei 26 paesi in cui opera l'organizzazione non governativa italiana - il direttore traccia la linea di una nuova strategia: "Nella crisi mediorientale attorno alle guerre in Siria e Iraq, in quella del Lago Ciad legata al terrorismo di Boko Haram, nel Corno d'Africa devastato dalla siccità abbiamo aumentato la nostra presenza con uno sguardo regionale, perché i conflitti non sono più confinati in un singolo Stato"

di Daniele Biella

Di fronte a nuove crisi a livello mondiale, cambia il modo di fare cooperazione internazionale. L’ong italiana Coopi, da anni in prima linea in decine di Paesi del mondo, “ha compiuto di recente una scelta strategica: ragioniamo con un approccio regionale ai conflitti, non più solo nazionale”, spiega a Vita.it Ennio Miccoli, direttore di Coopi, alle porte del prossimo Meeting dell’organizzazione che dall’8 al 12 maggio 2017 vedrà riunirsi a Milano i 26 Responsabili Paese degli Stati in cui oggi è presente.

Perché una cooperazione con un approccio regionale?
Perché i conflitti, da quelli armati a quelli ambientali, negli ultimi anni raramente rimangono rinchiusi dentro il confine di uno Stato: coinvolgono le zone vicine in più modalità. Gli esempi più immediati, che sono anche quelli in cui abbiamo deciso di potenziare la nostra presenza, sono la crisi mediorientale per le guerre in Siria e Iraq, che coinvolge anche Giordania e Libano per l’arrivo dei profughi, la crisi dei Paesi attorno al Lago Ciad – Niger, Nigeria, Ciad e Camerun – per la presenza del terrorismo di Boko Haram e quella nel Corno d’Africa, colpito dalla siccità.

Come vi state muovendo in Medio Oriente?
In Siria abbiamo attivato una presenza a Damasco e Aleppo in collaborazione con partner locali, dando assistenza agli sfollati interni per quanto riguarda le prime necessità. In Iraq oltre alla distribuzione di generi di primo bisogno lavoriamo anche sull’educazione in situazioni di emergenza, adibendo a scuole strutture di altro uso, per fare tornare i bambini sui banchi in sicurezza: il rischio concreto è quello di una perdita di generazioni di bambini istruiti, cosa che purtroppo sta già avvenendo e deve essere fermata. Sono i “figli della guerra”; e hanno bisogno di supporto immediato, anche a livello psicologico, ci stiamo attivando per questo. In Giordania, siamo presenti da poche settimane e stiamo monitorando le necessità per poi capire come incidere, in particolare puntiamo a migliorare l’integrazione dei profughi siriani nella società giordana.


Quali fondi avete a disposizione per i progetti?
In modo significativo, finanziamenti relativi a bandi dell’Aics, l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, che è molto attenta e presente in questi scenari drammatici. Ma anche finanziamenti da parte dell'Unione europea e delle Agenzie delle Nazioni Unite.

Nella zona del lago Ciad com’è la situazione?
E’ molto preoccupante a causa dell’elevato numero di rifugiati fuggiti da Boko Haram: si è raggiunto il numero impressionante di tre milioni, divisi nei quattro Stati attorno al lago. Noi siamo l’unica ong presente in tutte quelle nazioni e stiamo cercando di fare quanto possibile per lavorare sulla malnutrizione infantile, una vera piaga date anche le scarse condizioni socio-ambientali.

Non va affatto meglio nel Corno d’Africa…
Esatto, in Somalia ed Etiopia siamo di fronte alla crisi climatica più grave da quella del 1992 in quanto a carestia e siccità: cinque milioni di persone sono in pericolo di morire per fame e stenti, e giorno dopo giorno il numero delle vittime aumenta. Bisogna agire in modo urgente a livello internazionale, ma, come per quanto riguarda la crisi nel bacino del lago Ciad, è un conflitto che la comunità mondiale sembra avere “dimenticato”. Noi, oltre all'impegno diretto, abbiamo promosso con la rete Agire la campagna Emergenza fame in Africa.

Tra pochi giorni farete il settimo Coopi Meeting, quali le priorità?
Ci troviamo per mettere a sistema le nostre azioni, confrontandoci per dare più forza all’organizzazione. Approfondiremo questa nostra novità dell’approccio regionale ai conflitti, elaborando strategie partendo da due elementi basilari: qualità ed efficacia dei nostri interventi.

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