Cultura

Miccio, da bambino caregiver a scrittore: «Raccontare è stata una cura»

Vivere con un padre affetto da depressione bipolare schizoaffettiva è stata un'esperienza che ha segnato profondamente la vita dello scrittore Carlo Miccio fin dall'infanzia. Un'esperienza carica di solitudine, paura e sofferenza che l'autore ha raccontato nel libro autobiografico La trappola del fuorigioco, pubblicato da Edizioni Alpha Beta Verlag di Merano

di Rossana Certini

Immaginate la fatica di un bambino che deve prendersi cura di un genitore. Un peso troppo grande per le sue spalle. Una responsabilità che non dovrebbe mai spettare a un figlio. Questa è l’esperienza vissuta da Carlo Miccio e da lui raccontata nel suo romanzo d’esordi, La trappola del fuorigioco, pubblicato da Edizioni Alpha Beta Verlag di Merano. Il libro ha già qualche anno, ma a detta degli addetti ai lavori resta il racconto insuperato di cosa significhi essere un giovane caregiver: un pezzo del mondo della cura che ancora troppo spesso non viene visto nelle sue specificità.

Nell’opera autobiografica lo scrittore affronta il tema della relazione, complessa e delicata, tra un figlio e un padre quarantenne che ha appena ricevuto una diagnosi di depressione bipolare schizoaffettiva. Una malattia psichiatrica che segnerà profondamente non solo l’infanzia e l’adolescenza del protagonista del romanzo, ma anche quella d’autore che spiega: «Affondo le mie radici emotive in un passato in cui da bambino ho dovuto fare i conti con la malattia di mio padre. Una situazione completamente inusuale, difficile da gestire, che ha un impatto profondo sulla crescita di chi vive questo tipo di esperienza».

Prosegue Miccio: «La prima volta che ho visto mio padre stare male, non sapevo cosa stesse succedendo. Non avevo le parole per spiegarmi la sofferenza di un genitore che perde il controllo della propria mente». Un’esperienza traumatica, un momento che lo segnerà per sempre.

La psicosi di un padre, il trauma di un figlio

La goccia che fa traboccare il vaso arriva il 16 giugno del 1975, giorno in cui il Partito Comunista di Berlinguer trionfa alle amministrative. Per Sebastiano La Rosa, padre quarantenne di Marcello, il giovane protagonista del romanzo, si profila il peggiore degli incubi: un paese in mano a barbari che bruciano chiese e sequestrano case. Anche nella realtà è andata così: «Ricordo perfettamente che quel giorno stavo andando in Sicilia con mio padre e quella notizia ha creato in lui una paura tale da scatenare la sua psicosi sotto i miei occhi. Io avevo dieci anni».

Scrivere mi ha permesso di gestire meglio una parte buia della mia personalità, probabilmente nata proprio da quell’esperienza dolorosa

Carlo Miccio

Per Miccio la scrittura è stata strumento di consapevolezza. «Raccontare una storia implica un minimo di distacco», spiega, «e scrivere mi ha permesso di fare ordine. Mi ha dato la possibilità di essere più lucido davanti ad alcuni ricordi. Scrivere, quindi, è stato un processo catartico, quasi di cura. Le idee c’erano da sempre nella mia mente, ma non in modo consapevole».

Vivere con un padre invalido al 100%, che aveva momenti di rabbia o visioni, ha sviluppato in Miccio un senso di bassa autostima e di inadeguatezza che per anni gli ha impedito di mettere su carta il romanzo che aveva in mente, ma spiega:  «Ho anche compreso quante altre persone – madri, padri, sorelle, fratelli, figli – hanno vissuto con un familiare affetto da malattie psichiatriche».

La solitudine che sembrava caratterizzare solo la mia esperienza è in realtà una condizione condivisa da molte altre persone

Carlo Miccio

Un’esperienza condivisa: la solitudine di chi vive con una malattia psichiatrica

Infatti l’autore ricorda che ogni volta che presenta il libro, infatti, l’autore viene avvicinato da tante persone che si riconoscono nel personaggio. «Mi chiedono consigli», spiega, «e questo mi fa comprendere che la solitudine che sembrava caratterizzare solo la mia esperienza è, in realtà, una condizione condivisa da molte altre persone».

Nel vivere l’alienazione di una persona cara, spiega, «il gesto del prendersene cura diventa necessario per mantenere un ordine mentale che, però, non arriva mai». La psicosi del padre, con le sue allucinazioni e deliri, ha rappresentato un elemento di deflagrazione per la sua famiglia tanto che la madre, nel tentativo di proteggere i figli, ha scelto la separazione dal marito. «Eppure sono le esperienze che viviamo, anche le più dolorose, a farci diventare ciò che siamo», sottolinea Miccio. «Oggi, per professione, mi occupo di bambini con disabilità, per cui evidentemente si interiorizza un modo di essere che ti spinge a cercare situazioni di fragilità, anche quando sei lontano dal tuo passato».

Miccio fa una pausa, come per trovare le giuste parole e sospira: «Però un conto è occuparsi di bambini con disabilità, di cui ti devi prendere cura affinché possano esprimere al meglio le loro abilità. Un altro è dover prendersi cura del proprio padre, che invece dovrebbe essere la persona che aiuta te a crescere».

Martedì 15 aprile alle ore 18.00 presso la Sala Liberty “Il Treno” in via San Gregorio 46 a Milano presenteremo il numero di VITA magazine di aprile dedicato proprio ai caregiver familiari.

Nella foto di apertura un ritratto dell’autore del libro (foto Carlo Miccio)

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