Famiglia

Mezzanzanica: «L’apprendistato? Funziona e va promosso»

di Redazione

Non ci pensiamo, ma solo trent’anni fa capitava che un giovane entrasse in azienda come fattorino e ne uscisse dirigente. Un fenomeno che non aveva a che fare con le fiabe né con le raccomandazioni, aveva un nome – mobilità sociale – ed era uno degli elementi più salutari dello sviluppo economico. Oggi non ne parliamo più. Viviamo nel presente e, di fronte alle richieste di futuro dei giovani, registriamo un imbarazzante silenzio. È la società immobile. «Se però si danno ai giovani delle occasioni concrete, le risposte sono sempre positive», premette Mario Mezzanzanica, docente di Statistica alla Bicocca di Milano.
Vita: L’apprendistato è un’opportunità?
Mario Mezzanzanica: Senza dubbio. Occorre però che non sia interpretato secondo uno schema troppo rigido. Le politiche di supporto all’introduzione al mercato del lavoro devono essere personalizzate. E in questo senso un ruolo fondamentale lo devono svolgere gli enti di formazione. Peraltro l’apprendistato è uno dei contratti più efficaci e più bistrattati.
Vita: In che senso?
Mezzanzanica: Le percentuali di utilizzo sono bassissime. Se solo si guardasse ai risultati se ne comprenderebbe l’efficacia e l’importanza. Un esempio significativo lo troviamo in Lombardia, dove nel 2009 solo il 3% dei contratti era di questo tipo. Ma il 90% di coloro che entrano con l’apprendistato alla fine sono stabilizzati. Dunque è uno strumento che va potenziato e promosso.
Vita: Quali sono i principali ostacoli?
Mezzanzanica: La rigidità. Le imprese preferiscono usare forme contrattuali più brevi. Anche se poi, se si guardano i dati, si vede come la flessibilità sia oggi indipendente dalla tipologia contrattuale. I flussi del mercato del lavoro degli ultimi dieci anni segnalano che i contratti flessibili, che durano in media dai 2 ai 7 mesi, si chiudono entro l’anno nel 90% dei casi. Ma se si considerano quelli a tempo indeterminato, si scopre che hanno una durata media di 12 mesi e che uno su due si chiude in quattro anni. Già ora il mercato è molto più mobile di quel che si pensi.
Vita: E il ruolo degli enti di formazione?
Mezzanzanica: Possono collaborare molto attivamente con le imprese nello sviluppo del profilo professionale. Inoltre se creassero una rete con più aziende, potrebbero sostenere il collocamento dei ragazzi in formazione. Soprattutto devono smettere di lavorare in modo staccato dal mercato: un legame più stretto con le imprese è un fattore di innovazione perché consentirebbe di avere maggiori informazioni sulle necessità e quindi permetterebbe una programmazione più seria. Si potrebbero usare le comunicazioni obbligatorie per avere un quadro dinamico e aderente alla realtà e dunque proporre, sulla base di dati concreti, percorsi formativi che vadano incontro alle vere esigenze. Naturalmente tutti dovrebbero concorrere alla loro messa a punto. (M.R.)


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