Sostenibilità
Mettiamoci alle spalle gli specialisti del “verde”
Università & dintorni, parla Marco Frey
Formazione green, parola chiave per un futuro all’insegna dell’economia sostenibile. Che non significa necessariamente (e soltanto) formazione specialistica, ma anche una “contaminazione” in verde di tutti i settori tradizionali della formazione. È la convinzione di Marco Frey, ordinario di Economia e gestione delle imprese presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Green economy, un’occasione di crescita per l’economia. E quindi di occupazione. Quale ruolo per la formazione?
Come sempre un ruolo importante: creare le competenze necessarie per trasformare le potenzialità di un settore in vere opportunità, altrimenti la green economy rischia di rimanere uno slogan. Questa prospettiva richiede di penetrare in maniera capillare in tutto il sistema. Faccio l’esempio dei rifiuti: non basta impostare servizi di raccolta differenziata, ma bisogna anche costruire filiere per i sottoprodotti che rientrano nel mercato, ci devono esser capacità e competenze che facciano diventare i rifiuti materie prime seconde effettive.
Esiste un’offerta adeguata a livello formativo, in Italia, alle sfide che la rivoluzione verde pone?
Secondo me sì quantitativamente, ma parzialmente dal punto di vista della qualità. In generale l’offerta formativa tende a muoversi prima della domanda. Non sempre però ciò avviene nel modo più opportuno: a volte con troppo anticipo, sfornando professionalità che spesso il mercato non è in grado di assorbire. Se si entra poi nel merito, una sfida come quella della green economy richiede di essere capace di fornire una logica d’insieme, non solo di formazione specialistica.
Siamo stati precursori in alcuni settori ambientali, come le energie rinnovabili, ma oggi siamo importatori di tecnologia. Colpa anche di una carenza sul fronte della formazione e della ricerca universitaria?
Questa è una questione tipicamente italiana. L’Italia è stata precursore in tanti ambiti, come i biocarburanti, il fotovoltaico, l’eolico, la geotermia (che è nata in Italia). L’impressione è che poi si sia sperperata la capacità di innovazione cavuta nelle fase nascenti di queste tecnologie. Soffriamo di scarsa capacità di valorizzare il nostro intuito, le imprese italiane non sono capaci di crescere e di fare sistema. La formazione è un pezzo di questo discorso: crea le competenze per saper valorizzare ciò che si mette in campo e per saper fare sistema deve trasmettere competenze per realizzare i progetti nel lungo periodo.
A Pisa da molti anni è attivo un master sull’ambiente in cui la percentuale media di placement è pari a 80. La formazione in verde è da consigliare a uno studente che voglia scegliere uno sbocco con forti opportunità professionali?
La risposta è sì. Per 15 anni è stato un master di primo livello sul controllo e la gestione ambientale. Imprese, società di consulenza e pubblica amministrazione hanno progressivamente assorbito i profili con competenze gestionali e di sistema. Negli ultimi cinque anni ci siamo focalizzati su un master di secondo livello sul ciclo integrato dei rifiuti. Anche qui proponiamo un ragionamento di sistema, sul ciclo di rifiuti che progressivamente deve andare a chiudersi, forniamo competenze manageriali a livello elevato nel settore. Dal punto di vista dell’offerta formativa forse stiamo anticipando la domanda, visto che temo che il settore, soprattutto sul fronte pubblico, non sia ancora pienamente maturato.
C’è una grande richiesta di professionalità a contenuto ambientale anche nei mestieri tradizionali (architetti, ingegneri, manager). Anche in questo caso, il sistema formativo italiano è all’altezza?
La vera sfida della formazione green non è formare figure specialistiche. È assolutamente necessario ragionare in maniera intersettoriale. L’esempio degli architetti è illuminante: il settore dell’edilizia sostenibile si sviluppa in maniera molto interessante in modo assolutamente trasversale. Le università stanno adeguando la propria offerta con più ritardo rispetto alla formazione professionale, che è più flessibile, ma in generale c’è un movimento complessivo in questa direzione.
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