Politica
Metti un africano alla Casa Bianca
In un piccolo villaggio keniota, terra dorigine di suo padre, i più grandi supporter del candidato democratico
Di Barack Obama saprete molto, alcuni di voi forse tutto. Da quando si è convinto di poter diventare il primo presidente ?nero? nella storia degli Stati Uniti, i media sono letteralmente impazziti, al punto da definirlo il nuovo Kennedy della democrazia statunitense. In realtà, stampa e tv giocano un po? d?azzardo. Sarà pur vero che, come oratore, Obama eccelle quanto Jfk, ma a sancire la contrapposizione di due mondi radicalmente opposti è un piccolo villaggio del Kenya immerso in un?area afflitta dalla fame e dalla carestia. Non lontano dalle sponde del Lago Vittoria, Alego-Okello ospita un pugno di abitanti tra cui spicca Mama Sarah Ogwel, 82 anni suonati, matrigna di Barack Obama. «La prima volta che è venuto a trovarci risale al 1983», ricorda la signora Ogwel, «dopo la morte di suo padre, Barack Obama senior».
All?epoca nessuno se lo filava. Men che meno nel 1995, quando il futuro re Mida della politica statunitense decise di portare in Kenya sua figlia Malia per farle scoprire le radici della famiglia Obama, uno spicchio d?Islam nel regno dei Luo, l?etnia di appartenenza di papà Obama. Quest?ultimo avrebbe approfittato dei legami tra la sua stirpe e la dinastia Kennedy per emigrare negli Stati Uniti.
I discendenti ringraziano, per primo ovviamente Barack, che dopo un decennio passato ad affilare le armi nel partito democratico decide di fare ritorno nella terra dei Luo, nell?agosto 2004. è il suo terzo viaggio. Tra i kenioti qualcuno fiuta che da lì a pochi mesi il figliol prodigo potrebbe diventare senatore dell?Illinois. Poco importante se il ragazzo si è convertito al cristianesimo. «Ma en hono maduong», «Ci sarà un miracolo», esclamano gli abitanti di Alego. Fauziah Anyango, moglie di un fratellastro, tale Malik Obama, dichiara al Daily Nation, il principale quotidiano keniota, che «la vittoria di Barack al Senato sarà una benedizione per il Kenya e per tutta l?Africa». Tra auguri e pacche sulle spalle, c?è chi sogna addirittura la costruzione di una pista aerea con il chiaro intento di trasformare Alego-Okello in un santuario della politica internazionale.
I più modesti si ?accontentano? della ricostruzione della scuola in cui suo padre è cresciuto. Mama Sarah, nel frattempo, dà i primi segnali di stanchezza: «Non posso più vivere in pace. Sono già stata intervista migliaia di volte e le visite al nostro villaggio non cessano mai». Quelle di Barack non aiutano certo a preservare l?anonimato. Ma tant?è. Prima o poi qualche cosa ad Alego si costruirà.
Nell?attesa, bisogna fare i conti con un quarto soggiorno (agosto 2006) durante il quale si è potuto toccare con mano quanto la ?barackomania? sia ormai dilagante in tutto il Paese. Al punto che Barack si permise il lusso di spendere parole durissime contro il presidente keniota, Mwai Kibaki: «Se la corruzione è un problema per tutti», disse, «qui è un?emergenza». Lo shock tra l?establishment keniota fu enorme. Alcuni cercarono di zittire l?insolenza di «un ragazzo che non è nemmeno nato sul nostro territorio».
Dal canto suo, Barack Obama fa spallucce, allargando le sue critiche al governo sudanese per la questione Darfur e a quello sudafricano, presieduto da un ministro della Salute capace di proporre rimedi anti Aids fatti in casa dagli stregoni. Tanto sa di poter contare sul consenso dell?opinione pubblica, a partire da quello di Mama Sarah Ogwel.
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