Politica

Metterci del nostro?bgli enti non dicono no

Servizio civile L'ipotesi del cofinanziamento lanciata da Giovanardi

di Redazione

Arci Sc, Federsolidarietà e Avsi si dicono disposti a discutere la proposta. Cioè a partecipare mettendo risorse, pur di far partire i volontari. Ma con alcune condizioni chiare. Come spiega Licio Palazzini
« S e ci sarà da mettere mano al portafoglio, non ci tireremo indietro, a patto che?». Firmato gli enti del servizio civile. L’uscita “parlamentare” del sottosegretario Carlo Giovanardi, che, nella seduta del 23 ottobre alla Camera, aveva per la prima volta pubblicamente avanzato l’ipotesi che «chi ha centinaia di volontari per un anno concorra al loro mantenimento», trova gli enti (non tutti, ma una buona e qualificata parte) pronti al confronto. Ben inteso: Giovanardi non ha di fronte a sé un’autostrada. I paletti ci sono, e alcuni anche piuttosto alti. Il Comune di Torino, che attualmente ha in servizio 300 volontari, è stato uno dei due casi tirati in ballo dal sottosegretario nel suo intervento: «Quando Comuni come quelli di Roma o di Torino prendono in servizio 400 o 500 volontari nel servizio civile nazionale, anche con progetti fatti bene, è evidente che il volontariato sul territorio o, per esempio, i donatori di sangue si trovano in difficoltà perché rischiano di rimanere fuori». Da qui, secondo il governo, la necessità di un meccanismo di cofinanziamento da parte degli enti più grandi.
Gianfranco Padovano è il responsabile dell’ufficio del Servizio civile del capoluogo piemontese. «Noi gestiamo circa 90 enti di cui una cinquantina del privato sociale. Quindi non dreniamo risorse al territorio. Ma non è questo il punto e non voglio dribblare il problema: se Roma deciderà che dovremo partecipare al fondo nazionale, nei limiti delle nostre possibilità lo faremo. Mi piacerebbe però capire nel dettaglio in che termini». Padovano vede due pericoli. Da una parte, «se il cofinanziamento riguarderà solo gli enti di una certa dimensione, è facile prevedere un’atomizzazione del sistema a scapito della qualità della progettazione». D’altro canto, «vedo anche il rischio che in ogni caso un’eccessiva scarsità di risorse ridurrà la platea degli enti. Qui da noi il 75% delle realtà che non hanno avuto approvati i progetti ha deciso di uscire dal sistema».
È questo un tasto su cui batte anche Licio Palazzini ( nella foto ), numero uno di Arci Servizio civile, che attualmente coordinata 1.600 volontari e che dal 7 novembre (dal sito http://firmiamo.it/salviamoscn) ha lanciato una petizione, che ha già raccolto oltre 4mila firme, per salvare il servizio civile. «Siamo aperti al dialogo, con una pre condizione: il nostro sacrificio ha un senso solo se il servizio civile tornerà a riguardare almeno 40/50mila ragazzi».
Palazzini mette sul tappeto altri tre temi. Primo: «Non sia sottovalutato l’impegno di chi, nel nostro caso con 5 milioni di euro l’anno, impegna risorse, per certificare e assicurare un’alta qualità ai progetti. Si tratta di spese fisse che prescindono in grande misura dal numero dei volontari in servizio». Secondo: «Non è detto che per assicurare un risparmio al fondo nazionale si debba per forza pensare a un contributo delle associazioni: al contrario noi potremmo liberare risorse, per esempio rinunciando ai rimborsi per il vitto e per l’alloggio». Infine: «Il contributo degli enti non dovrà servire a sostenere gli assegni dei volontari, ma esclusivamente alla formazione e promozione».
Disco verde anche da Federsolidarietà, 1.070 ragazzi in servizio in tutta Italia, da Aosta alla Sicilia. Conferma il vicepresidente, Davide Drei : «Non abbiamo alcun tipo di pregiudiziale, ma un’operazione di questo tipo non dovrà coincidere con un abbassamento della guardia sul fronte della qualità di un servizio che ha un ruolo educativo cruciale». Continua Drei: «Se uno paga, solitamente poi pretende anche di decidere, ma i confini delle aree del servizio civile sono ben definite, non dimentichiamolo».
L’ipotesi del governo è quella di coinvolgere nel cofinanziamento solo gli enti che impegnano «centinaia di volontari». Ma non è detto che anche i piccoli non vogliano essere della partita. «Noi ci siamo», anticipa il responsabile Avsi, Pierpaolo Bravin , «piuttosto di rimanere senza ragazzi come accaduto quest’anno, siamo disposti a mettere mano al portafoglio: per noi il servizio civile è anche un ottimo strumento di valutazione e selezione del personale».
Il fronte del sì però, pur essendo maggioritario, non comprende l’intera platea degli enti. Enrico Maria Borrelli dell’Amesci, oltre 1.500 ragazzi in attività, per esempio abbassa subito la saracinesca. «Si parla di 2mila euro a posizione. Noi come tanti altri non saremmo in grado di sostenere una spesa di quel tipo: allora meglio fare un passo indietro e magari pensare di lavorare con contratti da co.co.pro, sui quali non grava quella mole di controlli e impegni burocratici che “appesantiscono” i nostri volontari».

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